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Le Haydine: Giuseppe Carpani'­s Insight on Haydn's Life & Works

4.229 Words / ~10 pages sternsternsternsternstern_0.5 Author Tobias Z. in Apr. 2012
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Musicology

University, School

Giancarlo-Zedde

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2012

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ID# 18131







Giuseppe Carpani

LE HAYDINE

OVVERO

LETTERE SULLA VITA E LE OPERE

DEL CELEBRE MAESTRO

GIUSEPPE HAYDN

GLI EDITORI

Le presenti Lettere Haydine videro la pubblica luce la prima volta in Milano nel 1812 pei tipi di Candido Bucinelli. Il favore con cui vennero accolte per tutto, e gli encomj che riscossero dagl’intelligenti italiani e stranieri, mostrano abbastanza quale sia il loro intrinseco merito; e formano il più bello e vero elogio del ch. sig. Giuseppe Carpani che le scrisse.

Le continue ed inutili ricerche che di esse si vanno ovunque facendo, ci persuasero che a noi utile, ed al Pubblico accetta cosa omai si farebbe, dandole di bel nuovo alle stampe. Richiestone impertanto l’illustre Autore, non solo si piacque di esserci del suo consenso cortese, ma di tutto buon animo si diede ad emendarne in ogni maniera e pressochè ad ogni linea il primo testo, ed a soccorrerlo di copiose ed interessanti giunte, come ognuno potrà di leggieri avvisarsi confrontando la vecchia colla presente lezione.

Quanto alle nuove Note gioverà qui l’avvertire, che noi le abbiamo contrassegnate con lettere, affinchè si possano a colpo d’occhio distinguere dalle altre segnate con numeri, le quali, eccettuandone gli occorsi mutamenti, sono comuni alla milanese edizione.

Trattandosi poi di un libro che alle gentili coltivatrici della musica vuolsi principalmente raccomandare, noi, per consiglio del chiarissimo Autore, abbiamo dato a piè di pagina la italiana versione di tutte le latine sentenze che per entro vi sono sparse; col procurare, in facendolo, di attenerci più stretti al contesto, anzichè al senso litterale di esse.

E di questo abbiam voluto rendere istrutti i nostri Lettori, affinchè, in ogni peggior caso, essi sappiano a chi si debba il mal fatto imputare.

Del resto, le cure che date ci siamo per la nitidezza e correzione della stampa, ci lasciano luogo a sperare che il Pubblico, anche per ciò che da noi dipende, vorrà avere in grado questa nostra edizione delle Haydine, e preparare lieta accoglienza agli altri due volumi, che verranno questo seguendo, delle Rossiniane e Majeriane dello stesso signor Carpani, il quale sì le une che le altre si è compiaciuto per la presente ristampa di ripulire, e fregiare di nuove e pregiatissime aggiunte.


AL R. CONSERVATORIO DI MUSICA DI MILANO


Valentissimi Professori, che coll’esempio e colla voce inspirate i principj ch’io qui sostengo; Giovani studiosi, che coll’ingegno e colla applicazione formate le speranze dell’Arte, per cui l’Italia nostra va sì lieta e famosa, a Voi dedico queste lettere, contenenti l’elogio, la critica e la vita di un sommo Artista, a cui forse non altro mancò, per vincer tutti, che d’esser nato nel segno della Madre d’ogni Bell’Arte.

Aggradite e gli uni e gli altri questo mio segno di stima per Voi e per la Patria nostra, alle glorie e ai vantaggi della quale sacro fu sempre e sarà ogni mio detto e pensiere (*[1]). E se la picciolezza del dono vi offende, riflettete di grazia,

Che l’animo gentil sempre pon mente

Al buon cor di chi dà, non al presente.


Giuseppe Carpani


AL BENIGNO LETTORE

Pochi Lettori bastavano al Lirico Romano. Io ne vorrei molti. Quel gran Poeta scriveva per la sua gloria; e senza dubbio, se Tucca, se Varo, se Mecenate e Virgilio leggevano i versi di lui, nulla più rimanevagli a desiderare per rendere eterno il suo nome. Io scrissi unicamente per l’onore di un Artista incomparabile, e pei progressi di un’arte che amo sopra ogni altra; e vorrei perciò esser letto da tutti.

Da prima queste lettere non ebbero in vista che d’intrattenere gradevolmente un amico signore che amava Haydn e la sua musica; ma avendole poi comunicate a più altre persone intelligenti, e venendomi fatto osservare dalle medesime che queste stesse mie lettere, per la grande stima in ch’ebbesi in tutta l’Europa un tanto Compositore, e per le piacevoli cose che contengono, non che per le musiche quistioni che vi si agitano, potessero non dispiacere ad altri, m’arresi a pubblicarle.

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L’avrei fatto molto prima, se le ragioni che arreco nell’ultima lettera, non me l’avessero impedito.

Ma chi sei tu che vuoi sedere a scranna?

potrebbe dirmi taluno. A cui io pacatamente risponderei; io mi son uno che, nato nel paese della bella musica, e dotato dalla natura di due buone orecchie, sentii fin dalla culla amore verso questa dolcissim’arte, pascolo dell’anime grandi, sollievo delle infelici, e trattenimento quasi universale d’ogni essere animato. Non contento della fisica dilettazione, amai d’internarmi nella metafisica di questa scienza, e scoprire; per quanto era concesso al mio tenue ingegno, le fonti e le ragioni del bello che è a lei proprio, onde vieppiù gustarlo.

Contrassi perciò amicizia con molti de’ più celebri artisti del p. p. secolo, che fu il secol d’oro della musica, e singolarmente col maestro Haydn, che il padre dee dirsi della musica strumentale. Questi studj e questi legami mi posero in istato di compilare la vita di Haydn, e di favellare della di lui arte. È innegabile che questa scienza va ogni dì più decadendo, perchè, abbandonate le tracce de’ buoni compositori, si è andato in cerca di novità pericolose; e gli uni hanno sostituito il capriccioso al vero, altri l’erudito al bello, e quasi tutti hanno confusi i generi, e vôlte le spalle alla natura; con che un bello fittizio si è introdotto, che, invece di parti luminosi, produce degli aborti d’effimera durata.

Mi parve, ciò posto, opera e dovere d’ogni buona persona l’opporsi, per quanto da noi dipende, e far argine a questa rovina. Se io mi sono ingannato nel fatto e nella maniera di correre all’intento, non m’ingannai certo nella ragionevolezza dello scopo che mi son prefisso, e nei voti che formai scrivendo. Chi ha miglior lancia della mia scenda nello steccato, accolga. l’invito, e lodi il buon esempio.

Non altro io chiedo; e ciò ben si scorge dal modo con cui ho stese queste lettere, nelle quali cercai più che la fama di purgato e forbito scrittore, quella di utile ragionatore, avendole perciò scritte così ch’io potessi essere facilmente inteso da tutt’i professori di musica anche i più mediocri. A tal fine mi prevalsi delle parole e frasi comunemente adoperate ed approvate dall’arte di cui parlo, benchè taluna di esse non trovisi ancora solennemente registrata nel tesoro della nostra lingua italiana, ed evitai non solo le lascivie del parlar toscano, e l’arzigogolo de’ dotti, ma eziandio le aride espressioni tecniche, e le astruse ricerche dell’acustica e del contrappunto, occupandomi principalmente della parte estetica, che d’ordinario è la più trascurata dai maestri, e che ha più bisogno delle altre d’essere inculcata.

A chi queste ragioni non bastassero, e volesse pur trovarmi a ridire, io ripeterò con s. Agostino, che = quelli che sono schizzinosi riguardo allo stile degli scrittori, tanto più si mostrano imbecilli, quanto più vorrebbero parer dotti; de’ buoni ingegni l’indole essendo questa, che nelle parole amano il vero, e non le parole. = Aug. de Doct. Christ. IV. II. Il Cielo vi conservi.


Vienna 15 aprile 1808.


Homo non periit, sed periit artifex (*[2]).

Menag.


Haydn! (nome sacro e risplendente qual sole nel tempio dell’Armonia) Haydn, che tanto vi sta a cuore, o amico, vive ancora; ma oh quam mutatus ab illo! (**[3])

Quando uscite di Vienna dalla parte della imperiale villa di Schönbrunn, voi incontrate là presso ai cancelli della linea di Maria Hülf un viottolo a sinistra, che mena verso il sobborgo di Gumpendorf. A mezzo di questo viottolo sorge un’erma, decente ed umile casetta, circondata dal silenzio. Ivi (e non già nel palazzo Esterhazy, come credevate, ed ei potrebbe, volendolo) soggiorna colui che produsse i più graditi armonici concenti del mondo; ivi il Dio della musica strumentale, ivi uno dei pochi e veri Genj del secolo XVIII, che tanti ne novera di supposti.

Ma se in quel tranquillo albergo voi v’inoltrate, e, salutata la ridente ed annosa fattora, salite la breve scaletta, voi altro non vedete nel mezzo della seconda camera che un placido vecchierello assiso ad un tavolino, occupato, per quanto scorgesi a prima vista, del pensiere unico della cadente sua esistenza, e siffattamente nullo in tutto il resto, che ha bisogno di visite per rammentarsi ciò che è stato.

All’apparire di una nuova persona egli sembra svegliarsi da un letargo: un dolce sorriso gli comparisce sulle labbra, una lagrima gli spunta dagli occhi; si anima il suo volto, la voce si rinfranca, vi riconosce, e vi parla di sè e delle antiche sue cose, che ha più presenti delle vicine, per ricadere ben presto nell’abituale suo malinconico torpore. L’Haydn tutto fuoco, fecondità, bizzarria, l’Haydn, che assiso al suo cembalo creava i musici portenti, all’udire dei quali si accendeva ogni anima, si convelleva ogni fibra, questo Haydn è sparito dal mondo.

La platonica farfalla ha spiegate le ali, nè altro ci rimane di lei che la larva. Care nondimeno e preziose reliquie dell’uomo incomparabile! lo vado di tanto in tanto a visitarle, ed a rimovere, per dir così, quelle ceneri ancor calde d’apollineo fuoco, e qualche scintilla mi riesce di trarne, non del tutto spenta, e ne parto poi coll’anima piena di commozione, di tristezza, di disinganno, in ripensando che sono mai queste ambite tanto e tanto decantate facoltà dell’umana caduca mente orgogliosa.

Quest’Haydn, amico, vive; è vegeto e robusto; come vive e verdeggia ne’ focosi suoi carmi il divino cantore di Achille, tre mila e più anni dopo la sua morte. Di questo prediletto sacerdote dell’Armonia io vi andrò tessendo per lettere le memorie, quali ho potuto raccoglierle da lui stesso, e dalle persone che più lo frequentarono in diverse epoche della sua vita, come sono il barone Van-Swieten; il maestro Fribert, la bravissima scolara ed amica d’Haydn madamigella di Kutzbec, il maestro Pichl, il violoncellista Bertoja, il consigliere Griesinger, il maestro Weigl, le signore Martinez, il suo fido copista, ed altri molti che per brevità non vi nomino.

Per gratitudine a quello ch’ei fu, non lascierò di parlarvi di ciò ch’egli è tuttavia. Tutto è importante quanto appartiene ad uno de’ pochi Genj che collo sviluppo delle loro intellettuali facoltà non altro recarono al mondo che sollievo e piaceri. Veri eroi, degni più che ogni altro di questo ambitissimo nome, se gli uomini con equo e ben fondato giudizio sapessero estimare più chi li benefica e ricrea, che chi, trasportato dal furore delle conquiste, li tormenta, gli abbaglia, gli opprime e distrugge.

Grandi e non pochi compositori contava già il musico Parnasso, quando in un villaggio dell’Austria venne al mondo il padre della musica strumentale Giuseppe Haydn; ma gli studj, il genio di cotesti suoi predecessori, rivolto essendo pressochè tutto alla parte vocale, come quella che la base può dirsi della umana dilettazione auricolare e sentimentale, la parte strumentale non era a que’ tempi molto coltivata, e generalmente si considerava come parte accessoria, quali si direbbero in architettura gli ornati, e in un quadro di storia gli attrezzi ed il paese.

Le sinfonie per lo più erano dunque un’aria sonata invece d’esser cantata, e nulla più.

Tale era altresì l’antica musica strumentale dei Greci, passata poi ai Romani. Chè anzi la loro era, strettamente parlando, una pretta musica da canto che ripetevano sugli strumenti; nè avrebbero osato mai d’inventare una melodia apposita per gli strumenti soli, come si è fatto, dappoichè questa dolcissim’arte uscì dalle fasce, in cui fu tenuta per tante migliaja d’anni; leggete Kalkbrenner:

Les Grecs etoient trop scrupuleux: observateurs du rhythme, du métre, et du genre caracteristique, pour supposer qu’ils eussent jamais consenti que la musique instrumentale devint autre chose qu’une imitation froide et uniforme de la musique vocale. Hist. de la musique par Kalkbrenner, pag. 175.

Prima delle sinfonie del Lulli non altra musica strumentale si conosceva in Europa, che quella indispensabile alla danza; ed anche questa era ordita in modo, che uno strumento solo reggeva la melodia, e gli altri, ristretti nei soli accordi, facevano l’accompagnamento. Questa imperfettissima musica strumentale veniva per lo più composta in Italia da’ soli strumenti che il Caliari dipinse nella sua cena di s. Giorgio, e prima di lui il Giorgione in quel concerto che fu inciso e reso pubblico.

Quando si voleva una musica più romorosa, si accresceva il numero dei detti strumenti, e vi si aggiungevan le trombe dritte. L’organo per lo più se la faceva da solo ([4]a). Un’orchestra formata di tanti e sì diversi strumenti, con si bella e sensata gradazione distribuiti, quale è la nostra, non la si sognava nemmeno. In questo stato di meschinità si contenne la musica strumentale finchè primeggiò sovranamente la vocale.

Io non mi farò carico di quella imperfetta generazione di pive, pivette e pivone, di tamburi d’ogni forma e grandezza, di flauti, zufoli, flagioletti, e cembali, e timballi, e trombe, e trombettini, e cornamuse, chitarre, chitarroni e monocordi che usavano nel XIV. secolo i Trovatori provenzali, poichè l’uso di gran parte di tali strumenti non uscì dalla Francia, nè i più sopravvissero al XV. secolo.

Inventato dal Viadana, o come altri più rettamente credono dal Caccini, il basso continuo, e facendo sempre più progressi in Italia la bella arte della musica, sparirono que’ strumenti da banda turca; e i violini, chiamati in que’ tempi viole, cominciarono a regnare. L’orchestra si andò semplificando, come si vede nelle succennate pitture, finchè verso la metà del XVII. secolo prese la sua consistenza, concentrandosi nei soli strumenti d’arco, nell’organo e nelle trombe.

Dirovvi qui per incidenza, ch’era riserbato a qualche maestro oltramontano del secolo XVIII. il fare anche della musica vocale una democrazia, in cui gli strumenti, resi parte integrale della cantilena, gareggiassero colla voce dell’uomo, e si dividessero con essa quell’attenzione che i nostri antenati, più ligii della natura che dell’arte, avevano saggiamente consacrata al canto solo (a[5]).

Questo metodo, coll’accrescere l’importanza degli strumenti, ha poi fatto sì che li cantanti, volendo riavere il primato che loro era stato dimezzato o tolto, si misero, come diceva lepidamente il gran Metastasio, a fare delle sonatine di gola, e con solennissima inversione del gusto, imitando gli strumenti che li soverchiavano, s’udirono l’Agujari, il Marchesi, la Marra, la Gabrieli, la Danzi, la Bilington, ed altri non pochi, fatto della voce un oboe,un flagioletto, un violino, sfidare questi strumenti,e sorpassarli nella difficoltà e stranezza de’ passaggi;nè so poi con qual guadagno della sublime, sentimentale e divin’arte del canto, destinata a pascerel’orecchio non solo, ma il cuore egualmente.

Per tornare all’infanzia della musica strumentale vi dirò che l’invenzione del Lulli, quantunque opportunissima all’oggetto suo di aprire con pompa uno spettacolo teatrale, restò per gran tempo così priva d’imitatori (pel conto che esclusivamente si faceva del canto), che in Italia stessa pochissime furono le sinfonie composte per tal uso: una di questo Lulli fu sonata, contemporaneamente in diversi teatri d’Italia in capo a molte opere di varj de’ più rinomati maestri, senza che alcuno d’essi si desse la briga di stenderne di nuove.

O così poco si stimasse il genere di tali composizioni, o così altamente si stimassero quelle del sullodato scrittore, che nessuno si credesse da tanto di uguagliarle, il fatto è, che l’ouverture francese regnò lungamente sui nostri teatri, quantunque vi si udissero con maraviglia infinita le, divine opere dei Vinci, dei Pergolesi, dei Leo, ed altri simili. Il vecchio Scarlatti fu il primo a scuotere il giogo, ed uscì in campo con ouvertures di suo conio; e rispondendo il successo all’impresa, fu riputato un Genio.

Tali furono i crepuscoli del sole Haydiniano. Con essi la musica strumentale cominciò a farsi osservare, a vestire un carattere suo proprio, e ad avere consistenza. Ben presto, passando dai teatri alle sale ai gabinetti, ne nacquero (prima ancora che l’Haydn scrivesse) il quartetto ed il terzetto, ossia il trio, e prima di lui il duetto, di cui può dirsi inventore il Corelli; ma questo genere di composizioni da camera sentiva unicamente lo scolastico, ed era per lo più steso a tutto rigore di fuga.

Basta che diate un’occhiata ai profondissimi quartetti del Gasmann, ai soporiferi trio dell’Hendel, ed avrete un’idea adeguata del comporre austero e dottissimo, ma gelato, di quei tempi, nel volgere de’ quali si preparava l’apparizione dell’astro che tutto rallegrare doveva il musico orizzonte.

Quando dunque si pensa in quale stato trovata avesse la musica strumentale il nostro Haydn allorchè cominciò a scriverne, e si riflette a qual grado di perfezione ed a qual vastità di dominio la conducesse, giunto appena all’età di 25 anni, è forza esclamare, ch’egli fu l’inventore di questo genere di composizioni poco meno che sconosciuto prima di lui a tutt’i secoli ed a tutte le nazioni: nè l’inventò soltanto, ma, come dissi, lo portò ben presto ad un apice tale di perfezione, che quanti scrissero e scriveranno dopo di lui con lode di valenti sinfonisti, all’Haydn dovranno di aver trovate le tracce, sulle quali camminarono o cammineranno; e non potranno che errare, deviando da esse.

E di fatti, quanti hanno scritto opere teatrali bellissime, e nessuno, tranne il Mozart, che con passo signorile e franco seguì le pedate di lui, sinfonie come Haydn? La ragione che assegna di questo suo giudizio il Gretrì si è, che nelle opere il poeta vi somministra e immagini e affetti e caratteri e colori e idee, mentre nella sinfonia tutto dovete trarre dal nulla, e operare da solo.

Io oso perciò asserire che, considerato sotto questo rapporto, l’Haydn è stato il Genio più originale del suo secolo, poichè egli fu quasi il creatore della musica strumentale, e lo fu certamente del più bel genere di essa.

Non è già che prima di Haydn, come già dissi e meglio spiegherovvi appresso, nessuno avesse scritto musica strumentale; chè anzi varj in questa carriera lo precedettero; ma il suo stile sublime, vero, perfetto, questo fu tutto nuovo e tutto suo. I pochi tratti di questo stile medesimo, che parvero ravvisarsi prima di lui in qualche maestro che vi nominerò a suo luogo, sono lampi leggerissimi che non posson togliere all’Haydn il vanto dell’invenzione; ed è pur questo stile che creò la musica strumentale d’oggigiorno, portata dall’Haydn a tanta altezza, che vinse in perfezione la vocale sì decantata de’ nostri tempi.

O cercarono essi di semplificare la melodia collo scemare gli accordi e scarseggiare di transizioni, e fecero, come il Pleyel de’ lavori meno dignitosi e robusti; o, come il Mozart ed il Beethoven, accumularono i numeri e le idee, e la quantità e la stranezza ricercarono delle modulazioni, e produssero allora delle erudite intricatissime confusioni, piene di ricercatezza e di studio, ma scarse d’effetto; ove all’incontro riscossero lodi somme e ben giuste, quando seguirono la luce Haydiniana.

Così è. Egli solo, il nostro Haydn, seppe senza eccezione essere sempre perfettamente chiaro ed erudito, energico e naturale, armonioso e non confuso, dotto e non arido, melodioso e non triviale, magistralmente tessuto e non mai intralciato, spontaneo e regolare, e ciò in mezzo alla bizzarria delle idee non mai più sentite, alla novità de’ mezzi, all’ardire de’ ripieghi, alla feracità delle invenzioni.

Dovrassi dunque studiarlo, ammirarlo, e star con lui; ma siccome egli solo può ripetere col Venosino quel superbo:

Non aliena meo pressi pede; (*[7])

così quelli che gli terran dietro imitatori suoi, rimarranno sempre al di sotto dell’originale, e l’Inarrivabile sarà il predicato dell’Austriaco sinfonista.

Persuaso, come sono, di questa verità, vi lascio per oggi, e vado, se fosse possibile, a persuadermene vieppiù ancora coll’udire in casa dello Schuppanzigh un pajo di quartetti del nostro grande Autore, sonati a maraviglia bene. Addio: invidiatemi e state sano.



[1] (*) L’autore, per effetto di politiche vicende ed amore di quiete, si trovava fin dal 1796 lontano dalla patria.


[2] (*) Vive ancor l’uomo, ma l’artista è spento.


[3](**) quanto – Da quel che fu cangiato!


[4] (a) Nel dialogo di Annibale Melone, intitolato il Desiderio, stampato in Venezia dall’Amadino nell’anno 1594, e malamente attribuito al cel. Botrigari, si ha la descrizione di un numeroso concerto dato dal Duca di Ferrara, ed a cui fu presente l’Autore. In essa trovasi una serie di strumenti alquanto più copiosa della succitata; ma questo lusso di una Corte di que’ giorni tanto magnifica non ci deve servire di norma per giudicare in generale delle orchestre comuni d’allora.


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