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Final thesis

I diritti umani delle donne e l`aborto­: Il caso del sudafric­a

16.765 Words / ~57 pages sternsternsternsternstern Author Gabriela W. in Oct. 2010
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Final thesis
Political Studies

University, School

Università di Bologna

Grade, Teacher, Year

2008, Prof. Gentili, 109/110

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Gabriela W. ©
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sternsternsternsternstern
ID# 2314







FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE

 

CORSO DI LAUREA TRIENNALE IN

CULTURE E DIRITTI UMANI

 

TESI DI LAUREA

in Storia ed istituzioni dell'Africa Subsahariana

 

 

I DIRITTI UMANI DELLE DONNE E L'ABORTO:

IL CASO DEL SUDAFRICA.

 

 

CANDIDATA                                                     RELATRICE

                                                  Anna Maria Gentili

 

Anno Accademico 2006-2007

Sessione III


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ringraziamenti

 

Desidero ringraziare la professoressa Anna Maria Gentili per avermi sostenuta nella scelta dell'argomento di questo lavoro e la dottoressa Roberta Pellizzoli per la sua guida, la grande disponibilità e i consigli preziosissimi.

 

Ringrazio la professoressa Raffaella Baritono per avermi dato importanti orientamenti nello studio dei diritti delle donne.

 

Un particolare ringraziamento va al professor Pier Cesare Bori, che mi ha incoraggiato ad intraprendere l'avventura di questo corso di laurea, e alle persone di Amnesty International che, in Italia e altrove, mi hanno coinvolta e accompagnata nell'attivismo per i diritti umani facendo crescere il mio desiderio di approfondimento dei diritti umani delle donne.

 

Ringrazio con tutto il cuore mio marito Fabrizio e i miei figli, Marco e Luca, per avermi sempre incoraggiata in questo percorso e per avermi mostrato amore e solidarietà anche nei momenti di difficoltà.


INDICE


1. Introduzione................................................................................................................. 4

2. I diritti umani delle donne e l'aborto.......................................................................... 6

2.1. I diritti delle donne nella storia recente dei diritti umani...................................... 6

2.2 Le conferenze del Cairo e di Pechino e i diritti riproduttivi................................... 8

2.3 Gli sviluppi dopo Pechino..................................................................................... 12

2.4 Il protocollo africano sui diritti delle donne (Protocollo di Maputo)................... 15

3. La legge sull’aborto in Sudafrica............................................................................. 19

3.1. La situazione prima del 1996............................................................................... 19

3.2 L'adozione della "Choice on Termination of Pregnancy Act".............................. 20

3.3. I contenuti della legge......................................................................................... 25

3.4. L'attuazione della legge....................................................................................... 27

3.5. La legge di emendamento.................................................................................... 32

3.6. Riflessioni sui diritti riproduttivi delle donne in Sudafrica................................. 33

4. L'aborto è un diritto umano?................................................................................... 36

BIBLIOGRAFIA - Letteratura scientifica..................................................................... 40

BIBLIOGRAFIA - Documenti e siti web...................................................................... 49

ALLEGATO - Choice of Termination of Pregnancy Act 1996, Traduzione italiana..... 52


I DIRITTI UMANI DELLE DONNE E L'ABORTO:

IL CASO DEL SUDAFRICA.

1. Introduzione

Nell'agosto del 2007, il Consiglio internazionale di Amnesty International ha deciso di includere nel suo lavoro su diritti sessuali e riproduttivi anche la richiesta di depenalizzare dell'aborto e di garantire alle donne (in certi casi gravi come ad esempio in seguito ad una violenza sessuale) l'accesso all'aborto in condizioni di sicurezza.

Subito dopo, l'organizzazione è stata fortemente attaccata da alcuni esponenti religiosi e da organi di stampa[1], ma ormai la consultazione interna, che era durata più di due anni e aveva causato non poche tensioni all'interno della stessa ONG, si era conclusa. Con ciò, un'altra delle grandi organizzazioni per i diritti umani[2], composta da uomini e donne[3], afferma che, a volte, i diritti umani delle donne possono essere a rischio se lo Stato non garantisce l'accesso ad un aborto sicuro.

Nel diritto internazionale dei Diritti Umani, i riferimenti all'aborto sono rari, e quasi sempre si rimanda alle norme nazionali. L'unica eccezione è finora rappresentata dal Protocollo opzionale alla Carta africana dei diritti umani e dei popoli, firmato nel luglio 2003.

Nelle legislazioni nazionali, le norme sull'aborto variano tra un divieto assoluto e un'ampia liberalizzazione. Una delle leggi più liberali sull'aborto è quella del Sudafrica, approvata nel 1996 dal primo parlamento democraticamente eletto dopo la fine dell'apartheid, con lo scopo esplicito di tutelare i diritti umani delle donne.

Il presente lavoro si propone di analizzare la tematica dei diritti umani delle donne, in particolare dei diritti sessuali e riproduttivi, e il collegamento tra tali diritti e l'aborto.

Prendendo come caso di studio la legge del Sudafrica, intendo analizzare le correlazioni tra l'applicazione di tale legge e la realizzazione dei diritti umani delle donne.


2. I diritti umani delle donne e l'aborto

2.1. I diritti delle donne nella storia recente dei diritti umani

L'universalità dei diritti umani e il divieto della discriminazione fondata sul sesso è sancita  nella Dichirazione Universale dei Diritti Umani, approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1948, e (in maniera giuridicamente vincolante) dai due patti internazionali del 1966.[4]

I due patti, come anche la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti politici delle donne del 1953, la Convenzione delle Nazioni Unite sulla nazionalità delle donne sposate del 1957 e la Convenzione UNESCO sulla discriminazione nell'istruzione mirano a dare alle donne la stessa posizione di cui godono gli uomini, nella sfera pubblica. Questo approccio, condiviso anche dalla Commissione ONU sulla condizione delle donne,[5] prometteva uguaglianza a quelle donne che si adeguano ad un modello maschile, senza offrire molto a quelle che non lo fanno, come osserva Hilary Charlesworth.[6] Infatti, le garanzie che tali patti offrono all'individuo riguardano prevalentemente la sfera pubblica, tradizionalmente frequentata da uomini. Mettere l'accento sull'uguaglianza rischia di negare la diversità tra i sessi. Il godimento dei diritti che i patti tutelano diventa quindi raggiungibile per quelle donne che conquistano l'autonomia tradizionalmente riservata agli uomini, attraverso l'istruzione, il lavoro e la partecipazione politica. Questo approccio non approfondisce le diversità di genere ma dà per scontata l'autonomia del soggetto tipico del liberalismo, cittadino e lavoratore, negando l'importanza della sfera riproduttiva e corporea, dei legami interpersonali e delle tradizioni culturali che determinano fortemente la vita delle donne e che devono essere al centro dell'attenzione nell'elaborazione di un concetto di diritti umani che sia pienamente rispettoso delle diversità tra le persone. Ad esempio, il divieto di lavori forzati o il diritto alla libertà e alla sicurezza della propria persona sono declinati con riferimento a violazioni commesse dallo stato, ma non riguardano i casi in cui questi diritti sono violati nei confronti di numerosissime donne, non da attori statali ma da attori privati o da norme culturali, all'interno dello spazio domestico.

In linea con la tradizione dei diritti civili e politici fondata da John Locke nel 1700, ancora "i diritti vengono definiti sulla base di quello che gli uomini temono possa accadere loro".[7] Questo approccio che dà per scontato il punto di vista maschile e lascia invisibili le condizioni di vita della maggior parte delle donne si riscontra anche nei trattati internazionali che tutelano i diritti di "seconda" e di "terza generazione", cioè i diritti economici, sociali, culturali e i diritti collettivi. La formulazione di tali diritti nei trattati (per esempio il diritto al lavoro) non tiene conto del fatto che spesso non sono motivi legali, economici e sociali ad impedire alle donne di lavorare, ma ostacoli di natura famigliare e culturale.

Le violazioni dell'integrità fisica femminile, diffuse in tutte le regioni del mondo e perpetrate proprio in quello spazio privato "protetto" dalle mura domestiche, non erano contemplate da quelle norme che pure pretendevano di avere valore universale.

Secondo Charlesworth, anche la CEDAW[8] del 1979 è basata sullo stesso approccio limitato. Bisogna comunque riconoscere che questa convenzione declina in maniera concreta molti ambiti in cui le donne sono discriminate, senza escludere l'ambito domestico e famigliare. La CEDAW era stata redatta con la collaborazione di sei organizzazioni, tra cui la All African Women's Conference.[9] Si tratta di uno dei trattati con il maggior numero di ratifiche e, pur essendo ancora oggi soggetta ad un alto numero di riserve o obiezioni da parte degli stati firmatari[10], rappresenta uno strumento importante per avanzare la tutela dei diritti femminili nel mondo. Il suo impatto si è rafforzato recentemente con l'entrata in vigore del protocollo facoltativo che istituisce una procedura di denuncia individuale, e una procedura di indagine a carico del Comitato CEDAW.[11]

Con la CEDAW, per la prima volta nella storia, i diritti delle donne si posizionano  "al centro del discorso legale internazionale".[12] B.E. Hernandez-Truyol[13] indica l'inizio della "rivoluzione dei diritti umani delle donne" con l'Anno internazionale della donna (1975) e con la I Conferenza mondiale sulle donne svoltasi a Città del Messico nel 1975, seguiti dalla Women's decade (1976-1985) e altre due conferenze sulle donne, nel 1980 (Copenhagen) e nel 1985 (Nairobi).

È con la Conferenza di Vienna del 1993 che la violenza contro le donne viene espressamente riconosciuta come violazione dei loro diritti umani[14], chiamando in causa l'obbligo dello stato di tutelare tali diritti. Prima della conferenza, una coalizione internazionale di organizzazioni femminili si era attivata nel lavoro di lobby per ottenere il riconoscimento dei diritti delle donne come diritti umani.[15]

2.2 Le conferenze del Cairo e di Pechino e i diritti riproduttivi

Altre conferenze internazionali che hanno fatto avanzare il riconoscimento internazionale dei diritti delle donne sono state in particolare la Conferenza del Cairo su popolazione e sviluppo del 1994 e la IV Conferenza Mondiale sulle donne, svoltasi a Pechino nel 1995.

La conferenza del Cairo ha allargato i diritti delle donne alla sfera sessuale e riproduttiva che accanto al tema della violenza contro le donne rappresenta il secondo ambito essenziale dei diritti umani delle donne. Sono infatti questi due gli ambiti che riguardano da vicino l'integrità fisica della donna ed è qui che si manifestano le differenze più essenziali rispetto agli uomini, quelle differenze che possono compromettere la realizzazione di tutti gli altri diritti umani delle donne.

Il tema dei diritti riproduttivi merita qui un particolare approfondimento. Secondo il programma di azione concordato alla conferenza del Cairo, tali diritti

"7.3 (...) si basano sul riconoscimento del diritto basilare di tutte le coppie e dei singoli individui di decidere liberamente e responsabilmente sul numero, il momento e l'intervallo fra le nascite dei propri figli, di avere i mezzi e le informazioni necessarie per esercitare tale diritto, e di ottenere i migliori standard di salute sessuale e riproduttiva. Ciò comporta anche il diritto di ognuno a prendere decisioni relative alla riproduzione senza essere oggetto di discriminazioni, coercizioni o violenze, come espresso nei documenti sui diritti umani. (...) I fattori che ostacolano il raggiungimento della salute riproduttiva per molte persone nel mondo sono: conoscenze inadeguate sulla sessualità e informazioni e servizi di salute riproduttiva inadeguati o di cattiva qualità, la prevalenza di comportamenti sessuali ad alto rischio; pratiche sociali discriminatorie; atteggiamenti negativi nei confronti di donne e bambine; il potere limitato di molte donne e bambine di decidere sulla loro vita sessuale e riproduttiva. (...)"

Il programma di azione dà la seguente definizione di salute riproduttiva (che include la salute sessuale):

"7.2. La salute riproduttiva è uno stato di benessere fisico, mentale e sociale completo, e non soltanto l'assenza di malattia o infermità, in tutti gli ambiti relativi al sistema riproduttivo, le sue funzioni e i suoi processi. La salute riproduttiva implica quindi che le persone siano in grado di avere una vita sessuale soddisfacente e sicura e che abbiano la capacità di riprodursi e la libertà di decidere se, quando e quante volte farlo. Quest'ultima condizione include il diritto di uomini e donne di essere informati e di avere accesso a metodi di pianificazione famigliare di loro scelta che siano sicuri, efficaci, accessibili e accettabili come anche ad altri metodi di loro scelta per la regolazione della fertilità che non sono contro la legge e il diritto di accesso a servizi sanitari adeguati che permettano alle donne di attraversare la gravidanza e il parto in condizioni di sicurezza (....) include anche la salute sessuale che ha lo scopo di migliorare la qualità della vita e delle relazioni personali e non solo la consulenza e la cura relativa a malattie della riproduzione e malattie a trasmissione sessuale."[16]

Come spiega Maja Kirilova Eriksson, il termine "regolazione della fertilità" è inteso da molti partecipanti alla conferenza del Cairo comprensivo dell'aborto (come anche dalla Organizzazione mondiale per la sanità[17]), contrariamente alla "pianificazione famigliare", già riconosciuta come diritto umano.[18] Le delegazioni più conservatrici, in particolare la Santa Sede, riescono infatti ad impedire che nella conferenza siano creati "nuovi diritti umani internazionali", e i riferimenti all'aborto nel programma di azione sono limitati dalle affermazioni che "in nessun caso, l'aborto dovrebbe essere promosso come metodo di pianificazione famigliare" e "ogni misura o cambiamento in relazione all'aborto nel sistema sanitario può essere solo determinato al livello nazionale o locale, secondo il processo legislativo nazionale".[19] Vengono però stabiliti due impegni per i governi che mettono al centro dell'attenzione la salute delle donne:

"tutti i governi (...) sono chiamati (...) ad occuparsi delle conseguenze sanitarie degli aborti insicuri che costituiscono una grave preoccupazione per la salute pubblica"

e

"quando l'aborto non è illegale, deve essere sicuro. In ogni caso, le donne dovrebbero avere accesso a servizi di qualità per la gestione delle complicazioni derivanti dall'aborto."[20]

L'intensa e qualificata preparazione della conferenza del Cairo, svolta da una rete di movimenti femminili internazionali, era  riuscita ad inserire la salute delle donne al centro delle politiche demografiche e di sviluppo e ad usare come punto di riferimento la CEDAW e altri trattati sui diritti umani. Un risultato importante è anche rappresentato dal fatto che per la prima volta si faccia riferimento ai diritti riproduttivi delle adolescenti e del ruolo degli uomini per la salute riproduttiva delle donne.

Gli obiettivi decisi nella conferenza del Cairo sono tuttora un importante punto di riferimento, come emerge dalla strategia dell'Organizzazione mondiale della sanità "per accelerare il progresso verso il raggiungimento degli obiettivi internazionali di sviluppo e degli obiettivi riguardo alla salute riproduttiva" del maggio 2004. Questa strategia, facendo riferimento agli obiettivi del Cairo, pone le seguenti 5 priorità per la salute sessuale e riproduttiva:

migliorare le cure prima, durante e dopo il parto e le cure per i neonati; offrire servizi di pianificazione famigliare di alta qualità inclusi il trattamento dell'infertilità; eliminare gli aborti insicuri; combattere le infezioni a trasmissione sessuale incluso l'HIV, le infezioni del tratto riproduttivo, il cancro della cervice e altre patologie ginecologiche; promuovere la salute sessuale.[21]

La conferenza di Pechino, apertasi con un forum delle ONG al quale hanno partecipato oltre 25.000 donne di tutto il mondo, riafferma non solo i diritti riproduttivi, ma anche il concetto di "empowerment" e "gender-mainstreaming" e declina i diritti umani delle donne in una piattaforma d'azione che si propone di affrontare dodici  "aree di crisi" che vanno dalla violenza ai diritti politici, dalla povertà al diritto alla salute.[22]

Con il paragrafo 96, i governi accettano una definizione dei diritti sessuali e riproduttivi delle donne che va oltre agli impegni del Cairo:

I diritti umani delle donne includono il loro diritto di controllare e decidere liberamente e responsabilmente le questioni riguardanti la loro sessualità, inclusa la loro salute sessuale e riproduttiva, libere da coercizione, discriminazione e violenza. Le relazioni paritarie tra donne e uomini in materia di relazioni sessuali e riproduzione, incluso il pieno rispetto dell'integrità della persona, richiedono rispetto e consenso reciproco e una responsabilità condivisa del comportamento sessuale e le sue conseguenze.[23]

Secondo Ellen Chesler[24] questo testo supera le formulazioni mai raggiunte in un forum dell'ONU. È abbastanza ampia da concedere, ad esempio, protezione alle donne sposate rispetto ad un marito sieropositivo, e da prevenire la discriminazione basata sull'orientamento sessuale. Non è un caso, quindi, che 29 stati, molti dei quali islamici, abbiano posto delle riserve riguardo a questo testo, mentre la Santa Sede e diversi stati sudamericani hanno espresso la preoccupazione che il paragrafo citato potesse essere interpretato in maniera favorevole all'aborto.[25]

La dichiarazione di Pechino, che funge da cornice alla piattaforma di azione, ribadisce inoltre in maniera univoca l'impegno della Dichiarazione Universale del 1948 secondo il quale "i diritti umani sono universali e appartengono agli individui" e la loro promozione e protezione è la "responsabilità sovrana di ogni stato", aggiungendo che il rispetto per la religione, la cultura e la filosofia dovrebbe "contribuire al pieno godimento dei diritti umani da parte delle donne".[26]

2.3 Gli sviluppi dopo Pechino

Dopo la conferenza di Pechino pare che l'avanzamento dei diritti delle donne nel diritto internazionale abbia subito una battuta di arresto. Nel marzo 2005, dopo la 49a sessione della Commissione sulla condizione delle donne, soprannominata "Beijing + 10", Amnesty International esprime la sua delusione rispetto al fatto che i governi presenti sono stati "incapaci o non disposti a costruire sugli sforzi fatti (...) e a progredire nella promozione e nella tutela dei diritti umani delle donne. La Dichiarazione adottata (...) riguarda un ambito estremamente modesto e aggiunge poco alla riaffermazione degli impegni presi dieci anni fa."[27]

Nelle "riflessioni post-Beijing" sulle limitazioni e sul potenziale del concetto di diritti umani per le donne, nel 1999, Dianne Otto aveva osservato che a Pechino non era stato raggiunto l'obiettivo di fare riconoscere come diritti umani alcuni diritti specificamente femminili. Dalla sua analisi della Piattaforma di Pechino emerge infatti che gli stati, invece di riconoscere diritti umani nuovi avevano con cura distinto tra "diritti umani" (universali) e "diritti delle donne" (non universali). Questa distinzione emerge particolarmente chiara nelle sezioni sulla salute e sulla violenza contro le donne. Otto critica inoltre l'attenzione insufficiente ai diritti economici e sociali.[28] La conferenza di Pechino resta comunque un importante - se non l'ultimo - punto di riferimento per chi difende i diritti umani delle donne. Le forti opposizioni all'inserimento dei diritti sessuali e riproduttivi che si erano espresse già durante la conferenza sono infatti continuate dopo, rallentando e addirittura bloccando i tentativi di rafforzare ulteriormente la tutela dei diritti umani delle donne nel diritto internazionale. Infatti, Amnesty International nel 2000 lamentava che nella preparazione della conferenza "Beijing + 5",

alcuni governi hanno messo in discussione addirittura il fondamento di quello che era stato affermato a Pechino: che i diritti delle donne sono diritti umani (...) La non santa alleanza tra la Santa Sede, Iran, Algeria, Nicaragua, Siria, Libia, Marocco e Pakistan ha tentato di tenere in ostaggio i diritti umani delle donne. Durante la sessione di preparazione (...) addirittura il concetto di diritti umani è stato classificato come questione "difficile".[29]

Anche nella "Dichiarazione del Millennio" del settembre 2000, fa notare Anna Rossi-Doria, si ha "una prova delle resistenze e delle ostilità incontrate dal movimento delle donne" perché "tra gli obiettivi generali che riassumevano i risultati delle Conferenze degli anni novanta, mancava quello centrale dell'accesso alla salute sessuale e riproduttiva".[30]

Di fronte a questa incapacità della comunità degli stati di riconfermare e sviluppare ulteriormente i diritti riproduttivi delle donne, si possono osservare comunque alcuni sviluppi positivi. Alcuni stati hanno approvato costituzioni e leggi che mettono un forte accento sui diritti umani delle donne, anche quelli sessuali e riproduttivi. La nuova democrazia sudafricana ne è probabilmente l'esempio più evidente. In molti paesi, governi, movimenti femminili e ONG umanitarie cercano di tradurre in realtà gli obiettivi globali formulati nelle conferenze degli anni novanta, anche se la "regola del bavaglio globale", [31] introdotta negli anni '80 dal governo Reagan e imposta nuovamente dal governo Bush, ha gravemente danneggiato i programmi sulla pianificazione famigliare e sull'empowerment delle donne in molti paesi. I fondi sono scarsissimi, e nonostante alcuni miglioramenti, l'Organizzazione Mondiale della Sanità riporta statistiche allarmanti:

Ogni anno vengono interrotte 45 milioni di gravidanze indesiderate, di cui 19 milioni in maniera non sicura; il 40% di tutti gli aborti non sicuri vengono effettuati su donne giovani tra 15 e 24 anni. Si stima che ogni anno muoiano 68.000 donne a causa di aborti insicuri, questa cifra rappresenta il 13% della mortalità legata alla gravidanza. (...) studi indicano che su cinque donne che si sottopongono ad aborti insicuri almeno una riporti un'infezione del tratto riproduttivo; alcune di queste infezioni sono serie e  causano infertilità. [32]

Il fatto che la salute sessuale e riproduttiva non sia stata inserita tra i Millennium Development Goals del 2000 viene ormai riconosciuto come errore anche dall'ONU. Il rapporto Millennium Project del 2005 constata che la salute sessuale e riproduttiva è essenziale non soltanto per raggiungere i tre obiettivi del millennio riguardanti la salute, ma anche per raggiungere molti altri obiettivi come la riduzione della povertà estrema, la garanzia delle opportunità di istruzione e della parità di genere e il raggiungimento della sostenibilità ambientale.[33] E anche l'Unione Europea dichiarava nel maggio 2005 che gli obiettivi del millennio non possono essere raggiunti senza che ci siano progressi nella realizzazione dell'obiettivo fissato al Cairo di garantire l'accesso universale alla salute sessuale e riproduttiva.[34]

Tra il 1995 e il 2005, l'accesso all'aborto legale è stato facilitato in 12 paesi, tra cui diversi paesi africani come Benin, Burkina Faso, Ciad, Etiopia, Guinea, Mali e Sudafrica.[35] Mentre nei paesi sviluppati l'aborto - quando è legale - è ormai un intervento molto sicuro, il 97% degli aborti clandestini (e quindi pericolosi) vengono effettuati nei paesi in via di sviluppo. Il 44% delle 68.000 donne che muoiono di aborto clandestino sono africane.[36] Paradossalmente, in molti paesi del terzo mondo, le leggi che vietano l'aborto sono retaggio del dominio coloniale europeo.[37] Non sorprende quindi che uno sviluppo interessante del diritto internazionale sia avvenuto proprio in Africa, con l'adozione del Protocollo africano sui diritti delle donne da parte dell'Unione Africana.

2.4 Il protocollo africano sui diritti delle donne (Protocollo di Maputo)

Nel novembre 1994 e nel marzo 1995 si sono svolte due conferenze importanti grazie all'azione concertata di organizzazioni come la Commissione internazionale dei giuristi (CIJ), la FEDDAF/WILDAF (Femme, droit e développement en Afrique) e il Centre africain de la démocratie e des études des droits de l'homme di Banjul, in cooperazione con la Commissione africana. Si trattava del forum delle ONG in preparazione della conferenza di Pechino, tenutosi a Dakar (1994), e del seminario sulla "Carta africana dei diritti dell'uomo e dei popoli e i diritti delle donne" a Lomé (1995). Dal seminario di Lomé è emersa la raccomandazione che l'OUA adottasse un protocollo sui diritti delle donne, aggiuntivo o opzionale alla Carta africana e che venisse nominato un relatore speciale sui diritti delle donne. I capi di stato e di governo dell'OUA decisero di implementare questa raccomandazione nel giugno 1995 ed istituirono un gruppo di lavoro che propose come relatrice speciale Julienne Ondziel-Gnelenga, giurista congolese ed ex-vicepresidente della Commissione Africana, ed elaborò un progetto di protocollo.[38] Nel gennaio 2003, l'ONG internazionale Equality Now organizzò una riunione di attiviste africane per i diritti delle donne, per esaminare il progetto ed organizzare il lavoro di lobby sui governi per fare "adottare un testo che promuova realmente i diritti delle donne africane nel diritti internazionale".[39] Il protocollo venne adottato nel luglio 2003 a Maputo e entrò in vigore il 25 novembre 2005. Il testo del cosiddetto "protocollo di Maputo" riprende molti degli impegni della piattaforma di Pechino, tra cui il divieto delle mutilazioni genitali femminili che in questo modo viene inserito per la prima volta in un trattato internazionale. I diritti sessuali e riproduttivi sono trattati nell'articolo 14 ("Diritti in materia di salute e salute riproduttiva") che mette al primo posto il "diritto al controllo sulla propria fertilità", compreso nel diritto delle donne alla salute. L'ultimo comma, il 2.c), rappresenta uno sviluppo notevole rispetto alle conferenze degli anni '90 perché inserisce l'impegno degli stati di proteggere i diritti riproduttivi delle donne autorizzando l'aborto terapeutico nei casi di violenza sessuale, stupro, incesto e quando portare avanti la gravidanza comprometterebbe la salute mentale e fisica della donna o la vita della donna o del feto.[40]

È la prima volta che un trattato internazionale (in questo caso, regionale) citi esplicitamente l'aborto come mezzo per proteggere i diritti riproduttivi delle donne. Prima dell'approvazione del protocollo di Maputo, erano state emesse varie raccomandazioni generali o osservazioni conclusive di comitati ONU[41] rivolte a stati dove l'aborto è totalmente vietato, limitato da parametri troppo restrittivi o dove l'obiezione di coscienza dei medici impedisce in pratica l'accesso ai servizi di aborto anche quando questi sono legali. Queste pronunce dei comitati sono vincolanti come interpretazioni ufficiali dei trattati relativi. Dalla convenzione CEDAW, dalle conferenze degli anni '90 e dalle interpretazioni dei comitati era infatti emerso un consenso internazionale sul fatto che l'aborto, dove è legale, debba essere sicuro e accessibile, e che in ogni caso, le donne abbiano diritto al trattamento di complicazioni derivanti da aborti illegali. Inoltre, sono state criticate le legislazioni troppo restrittive sull'aborto, come emerge per esempio dai commenti del Comitato CEDAW sul rapporto cileno del 1999.[42]

L'inserimento dell'aborto in un trattato regionale ha rappresentato comunque una novità e ha scatenato forti proteste da parte della Chiesa cattolica. In un documento del 19 giugno 2007, 34 vescovi ed arcivescovi dell'associazione delle conferenze episcopali dell'Africa centrale, preoccupati dalla "cultura di morte" che si sta diffondendo in Africa, condannano il protocollo di Maputo (in particolare l'art. 4 sulla violenza contro le donne e l'art. 14 sopra citato) come "una minaccia grave per i valori della morale cristiana e della cultura africana"[43]. Ripropongono quindi una visione statica della "cultura africana" e del ruolo della donna nell'ambito di tale cultura contro la quale, invece, i movimenti femminili africani si battono da tempo. Come spiega Anna Rossi-Doria

Negli anni novanta, sono stati spesso gruppi di donne del Terzo mondo a denunciare il fatto che il relativismo culturale veniva difeso non dalle vittime delle violenze, ma dai dirigenti di paesi in cui sono calpestati i diritti umani. Un ruolo decisivo in questo senso (...) fu svolto a Pechino da donne dello Zimbabwe, dello Zambia e del Sudafrica.[44]

Durante il seminario di Lomé, il prof. Kivutha Kibwana dell'Università di Nairobi, riconosce la necessità di scegliere tra vari aspetti culturali per tutelare i diritti delle donne africane:

La Carta assegna grande importanza ai costumi e ai valori tradizionali (art. 18, 22, 27, 29 para. 7 e 61). Solo l'articolo 29 (7) riconosce che non tutti i valori culturali africani sono positivi. I costumi, i valori tradizionali e il diritto consuetudinario sono i primi fattori che hanno contribuito a negare alle donne africane i loro diritti. Le disposizioni relative ai costumi e alla cultura devono essere attenuate per garantire che vengano imposti solo i valori positivi. Le nuove costituzioni in Africa cominciano a dedicarsi apertamente alla questione della cultura riconoscendo il fatto che questa comporta sia aspetti positivi che negativi.[45]

Il protocollo di Maputo riconosce alle donne il diritto "di vivere in un contesto culturale positivo e di partecipare a tutti i livelli alla determinazione delle politiche culturali" riconoscendo così il carattere dinamico della cultura.

Anche se il riferimento esplicito all'aborto rappresenta un precedente importante al livello internazionale, le restrizioni implicite nell'articolo 14 sono comunque notevoli e denotano lo sforzo di raggiungere un compromesso minimo in sede di negoziato. Limitando l'impegno dello stato all'autorizzazione dell'aborto, innanzitutto si evita di vincolare gli stati a rendere accessibili e raggiungibili servizi sanitari per abortire. Inoltre, si evita di riconoscere una serie di fattori importanti che possono mettere in gravi difficoltà una donna e rendere necessari un aborto: una situazione economica difficile, la difficoltà di imporre l'uso dei contraccettivi nel rapporto con il partner, il non funzionamento del metodo contraccettivo scelto o l'abbandono da parte del partner che rifiuta la paternità. Va considerato inoltre la difficoltà di dimostrare uno stupro, in particolare dove lo stupro tra coniugi non è riconosciuto come un crimine dalle leggi del paese. Il "diritto al controllo sulla propria fertilità" e il "diritto di decidere se avere o non avere figli, il numero dei figli e la distanza tra una gravidanza e l'altra", sanciti nel primo comma dell'art. 14, rimangono fortemente limitati. Il protocollo di Maputo rappresenta quindi un passo avanti nell'affermazione dei diritti individuali delle donne, ma il riconoscimento dei diritti sessuali e riproduttivi, fondamentale per l'autodeterminazione delle donne e per la loro integrità fisica, non è ancora completo.

Maggiori progressi sono stati invece compiuti da alcune legislazioni nazionali, in particolare da quella sudafricana che sarà analizzata nei prossimi capitoli.


3. La legge sull’aborto in Sudafrica

3.1. La situazione prima del 1996[46]

Durante il regime dell'apartheid, il governo dominato dal National Party promuoveva politiche demografiche razziste, differenziate per sudafricani bianchi, neri e "coloured":   alle donne bianche venivano concessi incentivi fiscali per incoraggiarle a fare figli mentre per le donne nere e "coloured" si promuoveva la contraccezione. Prima del 1975, l'aborto non era legalizzato ma poteva essere giustificato nell'ambito del diritto consuetudinario se la gravidanza poneva un rischio per il benessere mentale della donna. Abortire era costoso e comportava rischi legali per i medici; e per le donne nere, in particolare, poteva essere molto difficile trovare un medico disposto ad eseguire un'interruzione di gravidanza. Su pressioni dei medici e dei movimenti femminili venne adottata la legge di riforma del 1975 che legalizzava l'aborto, ma che infine ne restringeva l'ammissibilità alle situazioni di grave rischio per la vita o la salute della donna, di rischio di grave handicap per il bambino, di gravidanza in seguito a violenza sessuale o incesto. La legge inoltre chiedeva che ogni aborto fosse approvato da 3 medici.[47] Tra il 1975 e il 1996, ogni anno venivano effettuati circa 1000 aborti legali. Questa cifra costituiva solo una minima parte degli aborti complessivi in Sudafrica: le stime del numero degli aborti clandestini vanno da 120.000 a 250.000 all'anno. Per l'esecuzione di aborti illegali erano previsti (per il medico e la donna) pene pecuniarie di 5000 Rand e 5 anni di reclusione. Tra luglio 1988 e giugno 1991, oltre 80 persone sono state condannate sulla base di quella legge. Alcuni ricercatori del Medical Research Council of South Africa hanno cominciato nel 1993 ad analizzare la relazione tra aborto e mortalità materna. Nel 1994, secondo i loro studi, sono state ricoverate più di 12.000 donne con complicazioni molto o moderatamente gravi in seguito ad aborti clandestini. Più di 400, in quell'anno, sono morte a causa di infezioni. Si tratta comunque di numeri sottostimati, perché i casi di molte donne, specialmente quelle più povere e con difficoltà di accesso ai servizi sanitari, difficilmente saranno stati presi in considerazione.[48] C'erano notevoli variazioni regionali: nella Provincia del Western Cape, il 14,3% dei ricoveri in seguito ad aborti incompleti avveniva per complicazioni gravi, il 3,8% per complicazioni moderate; nella Provincia di Gauteng (con un bacino di utenza esteso sulle province rurali circostanti, dove mancavano servizi adeguati), il 20,6% dei ricoveri avveniva per complicazioni gravi e il 22,7% per complicazioni moderatamente gravi. Queste differenze si spiegano con la diversa disponibilità e preparazione di persone che praticavano aborti clandestini nelle varie zone e con la diversa capacità delle donne di pagare per tali servizi. Quasi il 50% dei ricoveri in ginecologia ed ostetricia degli ospedali pubblici sudafricani era costituito da casi di aborto incompleto[49] che richiedevano un ricovero più lungo e interventi più complessi e costosi rispetto all'esecuzione di aborti nel primo trimestre senza complicazioni. I costi per trattare le donne in seguito ad aborti clandestini sono stati stimati a circa 4.4 milioni di dollari USA (nel 1994), senza considerare il fatto che soltanto il 10-15% delle donne si presentano dal medico dopo un aborto e senza ovviamente considerare il grave peso degli effetti psicologici per le donne e le loro famiglie.[50]

3.2 L'adozione della "Choice on Termination of Pregnancy Act"

Nella lotta per la democrazia in Sudafrica, le donne avevano avuto un ruolo importante. Comunque, benché i diritti umani fossero un tema importante nella lotta contro l'apartheid

i diritti delle donne e in particolare i diritti riproduttivi delle donne non erano stati inseriti nel "mainstream" del movimento anti-apartheid prima degli anni novanta.[51]

R. Pellizzoli, nel suo articolo "La partecipazione politica delle donne sudafricane",[52] evidenzia come le due correnti prevalenti del femminismo sudafricano, "una nera e nazionalista, l'altra, tendenzialmente, bianca e femminista" erano legate dal "linguaggio politico del motherism" che metteva al centro della retorica di genere la figura della "madre". Questa retorica che identifica le donne con il ruolo di madre può influenzare negativamente la libertà femminile nell'ambito dei diritti sessuali e riproduttivi. Infatti, a volte succedeva che gli uomini giovani prendevano posizione contro la contraccezione dicendo che le donne dovevano partorire "soldati" per la lotta.[53] Comunque, tra i leader dell'ANC in esilio la posizione ufficiale cominciò a cambiare, e negli anni '90 venne riconosciuto lo specifico carattere di discriminazione delle donne insito nel sistema dell'apartheid e nei sistemi tradizionali patriarcali sudafricani:

Nel gennaio del 1990 la Malibongwe Conference di Amsterdam, organizzata dalla sezione femminile dell'ANC col supporto del Women's Committee del movimento anti-apartheid olandese, fu un importante passo in avanti perché legittimò la lotta contro l'oppressione di genere come un aspetto politico autonomo all'interno della lotta di liberazione.(...) la dichiarazione di Amsterdam fatta propria dall'ANC il 2 maggio 1990 (...) lasciò aperto per le donne uno spazio in cui organizzarsi come movimento autonomo.[54]

Nel periodo della transizione, nell'aprile 1992, le donne sudafricane riuscirono a costituire una coalizione molto ampia:

La costituzione della "Women's National Coalition (WNC) ... che raggiunse l'affiliazione di 92 organizzazioni nazionali e di 13 coalizioni regionali coprendo la maggior parte dei partiti politici, delle organizzazioni femminili rurali, delle organizzazioni religiose e professionali, suscitò sia sorpresa che ammirazione.[55]

Come spiegava nel 1996 Brigitte Mabandla, viceministro,[56] le donne nelle organizzazioni femminili rurali - contrariamente a quanto succedeva ancora negli anni '80 quando la lotta antiapartheid aveva la precedenza rispetto alle questioni di genere - esprimevano in maniera molto esplicita la loro idea di liberazione femminile che comprendeva l'emancipazione dal controllo patriarcale e dai sistemi tradizionali, il libero accesso alle risorse, e la libertà di scelta rispetto all'aborto.

La coalizione rappresentò sia una campagna politica per mobilitare e istruire le donne, sia un tentativo di influenzare il processo costituente del nuovo Sudafrica.

Seguì un processo partecipativo che portò alla redazione della Women's Charter for Effective Equality[57] e influenzò la dichiarazione dei diritti fondamentali contenuta nella costituzione del 1996 che vieta la discriminazione per genere, sesso, gravidanza e stato civile, garantisce i servizi sanitari compresi quelli per la salute riproduttiva e, soprattutto, mette al primo posto tra i diritti sull'integrità fisica quello di "prendere decisioni riguardanti la riproduzione".[58]

Barbara Klugman, antropologa e ex-direttrice del Women's Health Project, riferisce che con l'inizio dei negoziati tra ANC e National Party, nel 1990, si costituirono inoltre una serie di forum nazionali su varie tematiche sociali, con la presenza dei maggiori gruppi di interesse - sindacati, aziende, ONG - per elaborare progetti sul "nuovo Sudafrica". In questo ambito nacque il Women's Health Project, dal 1991, che fece delle ricerche, organizzò un centro di risorse e, dopo aver svolto per 3 anni una serie di incontri con varie organizzazioni e donne individuali, nelle città e nelle zone rurali, convocò una conferenza politica, con l'obiettivo di elaborare proposte concrete per riforme legislative nell'ambito della salute femminile. Dal gruppo di lavoro della conferenza che trattava il tema dell'aborto uscì un documento (in verità era il risultato di un lungo lavoro di rete con organizzazioni in varie regioni del paese) che ebbe grande visibilità. Quando, alla fine del 1994, fu istituito un comitato parlamentare per analizzare la vigente legislazione sull'aborto, il documento della conferenza fornì una chiara guida alle ONG per il lavoro di lobby che comprendeva la partecipazione alle audizioni parlamentari pubbliche.[59]

Nello stesso periodo, durante i lavori dell'ANC per la redazione del programma elettorale, il tema dell'aborto era stato proposto da alcune rappresentanti regionali e incluso nel programma, non senza causare il timore che una posizione liberale potesse danneggiare il partito durante le elezioni. Nel 1994, l'ANC aveva raggiunto la seguente posizione sull'aborto:

Ogni donna deve avere il diritto di scegliere secondo le sue convinzioni personali se far interrompere tempestivamente la gravidanza o meno. Nello stesso modo, il personale sanitario ha il diritto di rifiutare di partecipare all'interruzione della gravidanza, secondo le proprie convinzioni.[60]

Questa posizione rifletteva le preoccupazioni riguardo all'accettazione del tema dell'aborto da parte dell'elettorato e alla questione dei diritti religiosi e della libertà di coscienza.

Durante le audizioni del comitato parlamentare, i gruppi favorevoli alla liberalizzazione dell'aborto ebbero grande influenza.

Le ONG per i diritti umani, la salute e lo sviluppo si organizzarono nella Reproductive Rights Alliance (RRA) e svilupparono diverse strategie per influenzare il dibattito.

Si usarono vari approcci per argomentare a favore della liberalizzazione dell'aborto. L'argomentazione più importante, dal punto di vista sanitario, derivò da uno studio sui dati riguardanti la mortalità e morbilità delle donne a causa di aborti. Si prevedeva che l'accesso legale a servizi sicuri di aborto avrebbe ridotto le spese sanitarie per interventi dovuti a complicazioni in seguito ad aborti clandestini.

Un'altra argomentazione riguardava l'equità razziale. Visto che con la vecchia legge erano state soprattutto le donne nere a morire o ad essere perseguite dalla giustizia per aborti clandestini, la liberalizzazione avrebbe posto fine a questa discriminazione.

La RRA richiedeva che anche le ostetriche potessero eseguire aborti, sempre per favorire le donne povere (nere) per le quali l'accesso ad un medico era più difficile.

I diritti delle donne entravano in gioco soprattutto con la proposta di permettere l'aborto a richiesta, dando la possibilità alla donna di decidere da sola, senza dover chiedere l'autorizzazione ad un medico o ad un famigliare. Questa clausola - che fu approvata nel testo definitivo della legge - è molto significativa: infatti, le donne sposate secondo le leggi tradizionali (in vigore parallelamente alle leggi dello Stato) erano considerate "minori" e dovevano sottostare all'autorità del marito o, nel caso di morte del marito, di altri parenti maschi.[61]

Gli oppositori della liberalizzazione erano meno organizzati ed erano spesso rappresentati da bianchi che nel nuovo contesto sudafricano avevano poca credibilità:

Anche se diverse delle organizzazioni antiabortiste che testimoniavano durante le audizioni pubbliche erano organizzazioni di infermieri o medici, i loro portavoce erano bianchi e non potevano pretendere di parlare a nome della maggioranza. Le organizzazioni antiabortiste del personale sanitario stabilivano legami con gruppi religiosi antiabortisti. Quando il progetto di legge fu discusso in parlamento una ventina di gruppi antiabortisti si riunì nelle manifestazioni della National Alliance for Life. Mentre riuscirono ad ottenere una buona copertura mediatica non arrivarono comunque a mobilitare i numeri che sarebbero stati necessari per essere presi sul serio come lobby rappresentativa. Il portavoce dell'Alliance fu un medico. Però era un uomo bianco e questo minava la sua legittimazione. Inoltre, un'attivista per la libera scelta fece notare ai politici che una delle persone che testimoniava a nome di quel gruppo era collegato a Human Life International, un'organizzazione che era stata collegata ad attività della destra politica e al traffico di armi negli anni '80.[62]

Comunque, non è certo che nel paese ci fosse una maggioranza favorevole alla liberalizzazione dell'aborto. Un'indagine nazionale del 1995, commissionata dall'Assemblea costituente e svolta su 1000 adulti sudafricani, indicò che il 34% era contrario all'aborto in tutte le circostanze, il 45% era favorevole alla legge in vigore e solo il 21% era a favore della libera scelta per la donna. Inoltre, il 64% dei membri del sindacato infermieri DENOSA (Democratic Nurses Organisation of South Africa) non sosteneva l'aborto. B. Klugman spiega come si riuscì comunque ad approvare una legge molto liberale, con un iter legislativo che in Sudafrica prevede audizioni pubbliche della commissione parlamentare. La strategia prevedeva il coinvolgimento di religiosi favorevoli all'aborto. Fu particolarmente efficace la testimonianza di una giovane donna cattolica che aveva abortito a spese della Chiesa cattolica dopo che era stata messa incinta dal suo consigliere spirituale.[63] Inoltre si cercò di controbattere all'argomentazione frequente che l'aborto fosse contrario alla cultura africana, dimostrando con un lavoro di ricerca che in Sudafrica erano stati eseguiti aborti per centinaia di anni, in tutte le classi e culture. Klugman riferisce inoltre di un notevole impegno delle attiviste per fare in modo che i deputati del partito maggiore votassero secondo la linea del partito.[64] Infatti, la legge fu approvata grazie alla decisione dell'ANC di non permettere ai propri deputati un voto di coscienza ma di votare la legge in blocco. Comunque, 61 dei 252 rappresentanti dell'ANC in parlamento scelsero di non essere presenti al voto.[65]

3.3. I contenuti della legge

La legge, entrata in vigore l'1 febbraio 1997, è una delle più liberali al mondo. Prevede la possibilità per le donne di scegliere liberamente[66] se abortire nelle prime 12 settimane di gravidanza. In quel periodo, l'aborto può essere eseguito anche da un'ostetrica che abbia seguito un percorso di formazione specifico. Dalla 13a alla 20a settimana, l'aborto deve essere eseguito da un medico ed è possibile solo a certe condizioni[67], le quali comprendono la presenza di difficoltà socio-economiche. Dopo la 20a settimana, l'aborto è possibile soltanto in caso di pericolo per la salute della donna o del feto e dopo aver sentito un secondo parere medico o il parere di un'ostetrica autorizzata. Le interruzioni di gravidanza nelle strutture pubbliche vengono effettuate gratuitamente. Sono previste delle pene per chi esegue aborti senza le qualifiche previste dalla legge.[68]

Il preambolo della legge ribadisce i diritti garantiti dalla Costituzione:

Riconoscendo i valori della dignità umana, il raggiungimento dell'uguaglianza, la sicurezza della persona, il rifiuto del razzismo e del sessismo (non-racialism and non-sexism), e la promozione dei diritti umani e delle libertà che stanno alla base di un Sudafrica democratico;

riconoscendo che la Costituzione tutela il diritto delle persone di prendere decisioni riguardo alla riproduzione, di godere di sicurezza nel loro corpo e di avere il controllo dello stesso;

e include un forte riferimento ai diritti sessuali e riproduttivi:

riconoscendo che sia donne e che uomini hanno il diritto di essere informati e di avere accesso a metodi di regolazione della fertilità di loro scelta che siano sicuri, efficaci, economicamente accessibili e accettabili, e che le donne hanno il diritto di accedere a servizi sanitari adeguati per garantire una gravidanza e un parto sicuri;

riconoscendo che la decisione di avere figli è fondamentale per la salute fisica, psicologica e sociale e che l'accesso universale a servizi sanitari per la salute riproduttiva include la pianificazione famigliare e la contraccezione, l'interruzione della gravidanza, come anche l'educazione sessuale e programmi di consulenza e servizi;

riconoscendo che lo Stato ha la responsabilità di provvedere alla salute riproduttiva per tutti e anche di provvedere a condizioni sicure per poter esercitare il diritto di scelta senza paura o danni;

viene specificato inoltre che "l'interruzione della gravidanza non è una forma di contraccezione o di controllo demografico".

È piuttosto evidente l'influenza del "rights-based approach", cioè del linguaggio dei diritti umani promosso dalle organizzazioni non-governative in ambito internazionale e fatto proprio in parte dai governi nelle conferenze internazionali degli anni precedenti.

Nel testo della legge rimane invece irrisolto il problema dell'obiezione di coscienza da parte del personale sanitario. Nei primi progetti di legge era stato previsto il diritto di obiezione di coscienza, bilanciato dall'obbligo di riferire le pazienti a servizi disponili ad effettuare l'interruzione di gravidanza. Nel testo definitivo, queste clausole sono state eliminate. Non sono previsti né l'obiezione di coscienza, né l'obbligo per il personale sanitario di effettuare aborti. A tutela del diritto di accedere all'aborto sono previste le seguenti clausole:

6. Un donna che, ai sensi della sezione 2 (1), richiede un'interruzione di gravidanza ad un medico o, nei casi previsti, ad un'ostetrica autorizzata, deve essere informata dalla persona a cui si è rivolta sui suoi diritti ai sensi di questa legge.

e inoltre:

10. (1) Ogni persona che

(...)

(c) impedisce l'interruzione legale della gravidanza o ostruisce l'accesso ad una struttura per l'interruzione della gravidanza, si rende colpevole di un reato e sarà condannata ad una pena pecuniaria o alla detenzione non superiore a 10 anni. 

Secondo una dichiarazione del Ministero della Sanità del 28 gennaio 1997

(...) i lavoratori sanitari non sono obbligati a partecipare attivamente all'interruzione di gravidanza. Comunque, in un caso di emergenza, i lavoratori sanitari devono partecipare per salvare la vita della paziente.[69]

Un altro aspetto problematico della legge è il fatto che l'autorizzazione delle strutture che possono offrire il servizio di interruzione di gravidanza è soggetta ai poteri di delega del Ministro della Sanità.

3.4. L'attuazione della legge

Nel suo Reconstruction and development programme (RDP), l'ANC aveva ribadito la necessità di rendere i servizi di base (sanità, elettricità, acqua, abitazione, istruzione, accesso alla terra) accessibili a tutti, per diritto. Questo impegno contrastava con il programma Growth, Employment and Redistribution (GEAR), introdotto successivamente al fine di migliorare la stabilità economica che comprendeva una forte limitazione della spesa pubblica, influenzata dalla politica neoliberista delle istituzioni finanziarie internazionali, e una posizione egemonica del mercato nella società sudafricana in cui "lo stato opera innanzitutto per lubrificare il mercato e correggerne le imperfezioni."[70] Oltre ad ostacoli di carattere macroeconomico, il settore sanitario deve fare i conti anche con le difficoltà della ristrutturazione e decentralizzazione. Secondo una valutazione di Y.G. Pillay e P. Bond[71] del 1995, non solo il "capitalismo sudafricano rimpiazza le divisioni puramente razziali con le divisioni di classe più evidenti", ma esistono anche altri ostacoli alle riforme governative:

I burocrati sono protetti abbastanza bene e troveranno dei meccanismi per mantenere i privilegi acquisiti, contrariamente a quanti hanno bisogno di servizi sanitari ma non possono permetterseli, ai lavoratori di livello inferiore che ricorrono allo sciopero e ad altri gruppi vulnerabili.

L'esplosione dell'epidemia di AIDS comporta ulteriori gravi problemi per il servizio sanitario pubblico. Nel 1992 il tasso di diffusione dell'AIDS era del 4%, nel 2002 era salito al 35%. La crescente pressione sulle strutture sanitarie, in particolare sugli ospedali nelle zone rurali, porta ad un forte sovraccarico del personale. Inoltre, il 16% dei lavoratori della sanità sono sieropositivi.[72]

Una delle "promesse" sopravvissute del RDP è il diritto alle scelte riproduttive.[73] Hall e Roberts, in uno studio molto dettagliato sul decentramento dei servizi di salute riproduttiva pubblicato nel 2006, rilevano comunque come le limitazioni sulla spesa pubblica incidano negativamente sui servizi garantiti dalla Costituzione. Secondo le due studiose,

questi diritti si sono materializzati soltanto per un numero limitato di donne. L'esistenza della legalizzazione non è mai un indicatore sufficiente della disponibilità di servizi e questo è rivelato con particolare evidenza nella valutazione dell'offerta di servizi di interruzione di gravidanza.[74]

Anche se la legge del 1996 prevedeva di rendere disponibili i servizi per l'aborto a tutte le donne, in particolare in quelle zone che prima erano state svantaggiate, permettendo che gli aborti nelle prime 12 settimane di gravidanza fossero effettuati negli ambulatori e nei centri sanitari locali, lo studio rileva che la maggior parte degli aborti viene eseguito negli ospedali. Nel 2000, il 99% delle strutture pubbliche autorizzate ad eseguire l'interruzione di gravidanza erano ospedali.[75]

Molte delle strutture autorizzate, inoltre, non stanno effettuando il servizio. Dallo studio di Hall e Roberts emerge che la non disponibilità dei servizi di interruzione di gravidanza è dovuta sia alla mancanza di personale disposto ad eseguirlo, sia al fatto che una parte del management non è disposta a sostenere la formazione dei dipendenti. A volte i responsabili usano tattiche specifiche per impedire il servizio: rendono indisponibili le sale operatorie, rifiutano di nominare candidate e candidati per i corsi di formazione con la scusa della scarsità di personale e rendono così impossibile la messa a disposizione di personale qualificato per effettuare interruzioni di gravidanza.

Nel KwaZulu-Natal, il 69% delle strutture autorizzate non effettuano il servizio, che è offerto soltanto da 17 strutture. Il KwaZulu-Natal è la provincia più popolata (10.014.500 abitanti), con il più alto numero di donne (5.163.300),[76] dove tra il febbraio 1997 e il gennaio 2003 sono stati  eseguiti soltanto 35.117 aborti, il 12, 8% del totale.[77] (Nel Gauteng, la seconda provincia per abitanti, ma più urbanizzata, il numero degli aborti nello stesso periodo è stato di 106.109, ca. il 40% del totale.)[78] Nel KwaZulu-Natal, una provincia dove a tutt'oggi il potere dei leader tradizionali è forte, diffuso e patriarcale, quasi la metà delle donne ha partorito il primo figlio al compimento dei 19 anni. Si tratta della provincia con la più alta diffusione dell'HIV.

Il maggior problema sembra essere la non disponibilità del personale di essere coinvolto negli aborti.[79] Inoltre, nel 2000, l'interruzione di gravidanza non era stata ancora inserita nel curriculum di base degli istituti di formazione per infermieri e il numero di ostetriche autorizzate erano appena 63. Queste ostetriche svolgono compiti di formazione e si trovano negli ospedali. Per le donne che non abitano vicino alle strutture autorizzate è quindi molto difficile accedere all'aborto.[80]

Nel 2002, uno studio nazionale rilevò che non c'erano state variazioni statisticamente rilevanti nell'incidenza degli aborti incompleti: su ogni 100.000 donne tra i 12 e i 49 anni, 375 erano state ricoverate in ospedale nel 1994, e 362 nel 2000.[81] Lo studio rileva un notevole calo nei casi di morbilità alta (9, 7% nel 2000 rispetto al 16, 5 % nel 1994) e una riduzione degli aborti nel secondo trimestre, ma evidenzia come la diffusione degli aborti illegali sia ancora molto ampia. Le interviste eseguite nell'ambito dello studio nella provincia del Gauteng indicano una certa diffusione di conoscenze riguardo a metodi illegali per abortire e l'esistenza di un'ampia rete di servizi "informali". Molte donne non conoscono la legge o non sanno come accedere ad un aborto legale, altre temono di essere trattate male dal personale o che la loro privacy non sia garantita nelle strutture pubbliche. Alcune donne hanno affermato di non aver usato il servizio pubblico a causa di una lista d'attesa oppure perché la loro gravidanza era troppo avanzata.[82]

Per la North-Western Province, dove ci sono 12 ospedali distrettuali e 2 ospedali provinciali che offrono servizi di aborto, Hall e Roberts riferiscono le seguenti difficoltà:

In un ospedale provinciale (Mafikeng) le interruzioni vengono effettuate nell'unità riproduttiva, dove le pazienti prima ricevono consulenza. L'unità ha un'unico infermiere qualificato (uomo) e il servizio non è disponibile quando lui è in ferie. Altri ospedali hanno simili problemi quando il personale qualificato va in ferie. In un ospedale rurale (Ganyesa), dove lavora solo un'infermiera qualificata, il servizio ha chiuso per un anno mentre quest'infermiera seguiva un corso avanzato per ostetriche fuori dal distretto. Le donne che richiedevano interruzioni durante quell'anno sono state mandate ad un ospedale nel distretto sanitario vicino, a ca. 60 chilometri.[83]

Anche se il trasporto verso un ospedale può costituire un problema, una delle persone intervistate da Hall e Roberts, che effettua servizi di aborto in ospedale, crede che sia meglio mantenere il servizio centralizzato perché in questo modo per le donne è più facile passare inosservate. Visto che il diritto all'aborto non è ampiamente accettato nelle comunità locali, le donne corrono il rischio di essere emarginate da amici e parenti se si viene a sapere dell'aborto. Questa affermazione è confermata dal numero relativamente alto di donne che si presentano direttamente in ospedale evitando di farsi mandare dal servizio locale. Diverse ostetriche e altri membri del personale sanitario esprimono preoccupazione per il fatto che le ragazze giovani sembrano usare l'aborto come contraccettivo. Dalle testimonianze emergono anche i conflitti tra la legge e le culture locali:

"Quando è stata introdotta la legge sull'interruzione di gravidanza, l'abbiamo spiegato ai nostri guaritori tradizionali, perché nella nostra società l'aborto non è socialmente accettabile e quando hai avuto un aborto, anche quando era inevitabile, devi sottoporti ad un rituale di purificazione... ci hanno chiesto di mandare loro le pazienti per il rituale di purificazione, allora tu pensi che se la decisione spetta alla donna non possiamo diffondere quelle informazioni e allora loro dicevano che quello era la causa della siccità, il fatto che queste donne hanno abortito senza poi sottoporsi ad un rituale di purificazione."[84]

Le difficoltà descritte in questi studi recenti dimostrano che la presenza di una buona legge non è sufficiente per cambiare gli atteggiamenti negativi contro l'aborto che a volte sono radicate anche tra il personale sanitario. Secondo un'analisi di Liz Walker[85] del 1996, effettuata sulla base di interviste fatte ad infermiere professionali di Soweto tra il 1991 e il 1992, esistevano atteggiamenti negativi verso l'aborto tra le infermiere che erano dovuti soprattutto alla loro identità di genere: dalle loro testimonianze emergeva l'aspettativa di una "cultura della responsabilità"[86] legata al ruolo materno, e nel caso di gravidanze non volute le donne incinte venivano giudicate ambigue, false, egoiste e soprattutto irresponsabili per non aver evitato la situazione.

Uno studio del 2006,[87] eseguito nella Provincia del Western Cape, indica la necessità di maggiori informazioni sull'aborto tra le donne sudafricane. Il 32% delle donne del campione esaminato non sapeva che l'aborto fosse legale; tra quelle che sapevano dell'esistenza della legge poche erano a conoscenza delle limitazioni temporali previste.

Un'analisi effettuata su 22 workshops (per leaders e guaritori tradizionali, membri di organizzazioni religiose, consiglieri municipali e personale sanitario) tenuti tra il 2002 e il 2003 da IPAS South Africa in collaborazione con il Limpopo Department of Health and Welfare nella Provincia del Limpopo - la Provincia sudafricana con la percentuale più bassa di interruzioni legali di gravidanza ma con la percentuale più alta di complicazioni gravi in seguito ad aborti clandestini - dimostra però come sia possibile cambiare sia le scarse conoscenze di uomini e donne riguardo alla fisiologia riproduttiva femminile e alla legge sull'aborto, sia gli atteggiamenti negativi nei confronti di donne che cercano di abortire.[88]

3.5. La legge di emendamento

Viste le difficoltà di accesso al servizio e la scarsità di personale che effettua aborti, anche a causa dell'obiezione di coscienza,[89] nel 2004 è stata approvata una legge di emendamento[90] per dare la possibilità anche ad infermiere/i di effettuare interruzioni di gravidanza dopo aver completato un percorso di formazione specifico. Inoltre, il potere di concedere autorizzazioni alle strutture, che ai sensi della legge spettava soltanto al Ministro della Sanità, doveva essere allargato ai membri del Consiglio esecutivo della Provincia responsabili della sanità. La legge di emendamento è stata però invalidata dalla corte costituzionale il 18 Agosto 2006, in seguito ad un ricorso dell'associazione Doctors for Life International, per insufficiente consultazione a livello provinciale. L'ordine di invalidazione della legge è stato sospeso fino al 16 febbraio 2008 per dare tempo al parlamento di riapprovare la legge nel rispetto della Costituzione.[91] Dalle audizioni parlamentari, accessibili su internet[92], emergono forti contrasti sul testo della legge stessa tra i vari gruppi della società civile che hanno presentato le loro posizioni al comitato parlamentare sulla sanità. Un precedente ricorso presentato dalla Christian Lawyers Association of South Africa contro il Ministro della Sanità era stato rigettato dalla Corte del Transvaal[93] il 10 luglio 1998. I ricorrenti chiedevano che la legge fosse dichiarata incostituzionale perché in opposizione all'articolo 11 della Costituzione sul diritto alla vita. Il ricorso era stato rifiutato con la motivazione che ai sensi della Costituzione il feto non è una persona giuridica.[94]

3.6. Riflessioni sui diritti riproduttivi delle donne in Sudafrica

L'accesso ad un aborto sicuro è soltanto un aspetto dei diritti sessuali e riproduttivi.[95] In Sudafrica, i due ostacoli maggiori per la realizzazione dei diritti riproduttivi sono la violenza contro le donne e l'AIDS, due fenomeni che raggiungono purtroppo dimensioni drammatiche. Nel 2002, il 26, 5% delle donne incinte seguite negli ambulatori erano affette da HIV.[96] Un rapporto di Human Rights Watch del 1995 analizzava il fenomeno della violenza contro le donne evidenziando la preoccupante diffusione di stupri e violenze sia al di fuori che all'interno di relazioni di coppia.[97] Secondo uno studio del 2004, in Sudafrica ogni sei ore una donna viene uccisa dal proprio partner, il dato più alto mai rilevato al mondo.[98] Un altro fattore importante è la difficile situazione economica in cui si trovano molte donne e che molte volte le costringe a vendere il proprio corpo per sopravvivere o a rimanere legate ad un partner per la propria sussistenza economica. In questa situazione, molte donne non sono capaci né di decidere sui propri rapporti sessuali né di imporre l'uso di contraccettivi. Il rischio di una gravidanza non voluta è quindi alto, soprattutto per le donne che già si trovano in difficoltà. In assenza di servizi sociali adeguati, gravidanze indesiderate e la nascita di figli rendono ancora più vulnerabili le donne e limitano ancora di più le loro possibilità di uscire da situazioni in cui i loro diritti umani sono negati.

È evidente che una tale emergenza richiede notevoli interventi sanitari, educativi e giudiziari che mirino a cambiamenti culturali. Un maggiore empowerment delle donne nei rapporti di coppia è uno dei fattori fondamentali per prevenire situazioni di grande sofferenza e violazioni dei diritti più basilari di integrità fisica. L'aborto non può certo essere visto come un rimedio, né ad una violenza subita, né ad un'infezione con l'HIV. Anzi, in questi casi sono richiesti interventi di consulenza e di cura particolarmente sensibili e rispettosi della volontà riproduttiva della donna. È comunque fuori dubbio che soprattutto per donne molto vulnerabili, come quelle che hanno subito violenza, che sono state contagiate da un partner HIV-positivo o che si trovano in una situazione economica precaria, sia particolarmente importante non trovarsi davanti a difficoltà insormontabili, se decidono di abortire. L'approccio della legge di emendamento che mira ad una diffusione più capillare dei servizi è quindi senz'altro condivisibile e importante.

Come suggeriscono diversi studi,[99] è molto importante indirizzare interventi formativi ed informativi anche agli uomini. In particolare l'articolo di De Keijzer (che analizza il lavoro di organizzazioni di salute riproduttiva in Messico) dimostra come la somministrazione agli uomini di maggiori informazioni sulla fisiologia riproduttiva femminile e sui diritti riproduttivi possa essere la base di un vero cambiamento negli atteggiamenti di questi uomini nei confronti delle loro partner. In Messico, come in altri paesi in via di sviluppo e anche in Sudafrica, le strutture famigliari tradizionali e patriarcali hanno ceduto il passo ad un mondo in cui molte donne crescono i figli da sole, spesso con grandi difficoltà economiche, dove "gli uomini cercano delle donne che non esistono più e le donne cercano uomini che non esistono ancora".[100] L'erosione dell'autorità maschile tradizionale - esasperata nel Sudafrica dell'apartheid e delle miniere con la separazione degli uomini africani dalle loro famiglie - porta a situazioni di tensione e di conflitto tra i generi che dovrebbero essere viste, come ogni crisi, sia come rischio sia come opportunità di cambiamento. Ed è evidente che, per garantire i diritti sessuali e riproduttivi delle donne, la cooperazione degli uomini è indispensabile. Viceversa è ovvio che i diritti sessuali e riproduttivi degli stessi uomini non potranno mai essere tutelati se non costruendo rapporti di fiducia, rispetto e collaborazione con le donne.


4. L'aborto è un diritto umano?

Nelle conferenze del Cairo e di Pechino, l'aborto non era stato "promosso" a diritto umano e questo viene tuttora celebrato come un successo dalle forze conservatrici che si erano impegnate per frenare lo sviluppo dei diritti sessuali e riproduttivi:

Quindi, non solo non esiste una dichiarazione del Cairo e di Pechino che rappresenti un "consenso" mondiale univoco e che istituisca l'aborto come diritto riproduttivo, ma il linguaggio sull'aborto che è stato incluso nei documenti è stato dibattuto con un tale successo dalle forze conservatrici e risulta quindi talmente cauto che si può ben sostenere che impedisca categoricamente e esplicitamente di considerare l'aborto un diritto. Semplicemente, dalle conferenze non è emersa nessuna forte richiesta di diritti all'aborto. [101]

Nel decennio scorso è comunque cresciuta la consapevolezza che la realizzazione dei diritti riproduttivi delle donne richiede la legalizzazione dell'aborto e l'accesso ai servizi necessari. Mentre le ONG di advocacy per i diritti delle donne vedono questi sviluppi con speranza,[102] gli oppositori sospettano un'erosione dei diritti umani portata avanti di nascosto.[103]

Nella loro analisi delle strutture di potere in relazione alla problematica dell'aborto in Africa,[104] Tamara Braam e Leila Hessini esaminano le cause che fanno dell'aborto un tema di contestazione politica:

È il potere patriarcale che sta alla base dell'idea dell'aborto come questione contestata e politica. (...) Gli uomini sono visti come la norma, e le loro esperienze di vita e i loro approcci sono spessissimo utilizzati come base sulla quale determinare i bisogni sociali, formulare le richieste politiche e assegnare le risorse. La conseguenza logica di una visione del mondo definita al maschile e dominata da uomini è che quelle esperienze che non derivano direttamente dalle esperienze maschili come la gravidanza, il parto, l'aborto e la violenza contro le donne, non sono viste come aree prioritarie. Aree critiche che hanno un impatto notevole sulla salute e sulle vite delle donne, come l'aborto insicuro, non possono competere con le priorità tradizionali dello sviluppo come la disoccupazione e la povertà. Non stiamo proponendo una gerarchia dei bisogni sociali, ma crediamo che sia necessaria una femminilizzazione dei temi dello sviluppo, dove la salute e i diritti sessuali e riproduttivi delle donne sono considerate centrali per l'agenda di uno sviluppo umano sostenibile.

Una femminilizzazione della politica viene richiesto anche da Martha C. Nussbaum che nel suo libro Diventare persone affronta la questione se l'approccio basato sui diritti umani sia sufficiente per garantire alle donne una vita come persone. Nussbaum, che basa le sue riflessioni sull'analisi dei bisogni reali di donne in situazioni di sottosviluppo, propone in alternativa un approccio basato sulle capacità. Nel suo elenco di 10 capacità fondamentali che ogni essere umano dovrebbe raggiungere mette ai primi posti i seguenti punti:

1. Vita. Avere la possibilità di vivere fino alla fine una vita umana di normale durata; di non morire prematuramente, o prima che la propria vita sia stata limitata in modo tale da essere indegna di essere vissuta.

2. Salute fisica. Poter godere di buona salute, compresa una sana riproduzione; poter essere adeguatamente nutriti; avere un'abitazione adeguata.

3. Integrità fisica. Essere in grado di muoversi liberamente da un luogo all'altro; di considerare inviolabili i confini del proprio corpo, cioè poter essere protetti contro le aggressioni, compresi l'aggressione sessuale, l'abuso sessuale infantile e la violenza domestica; avere la possibilità di godere del piacere sessuale e di scelta in campo riproduttivo. (...)[105]

Nussbaum mette le capacità centrali al posto dei diritti:

non si possono violare le capacità centrali per perseguire altri tipi di vantaggi sociali. [106]

L'approccio di Nussbaum, rispetto a quello dei diritti umani che conosciamo dal 1948, ha il vantaggio di essere più concretamente verificabile nel caso singolo. Benché segua un'impostazione liberale, centrata sull'individuo, è molto efficace per quanto riguarda il campo dei diritti economici e sociali e esplicita bene il concetto dell'indivisibilità dei diritti, parte integrante del concetto dei diritti umani a partire dalla conferenza di Vienna del 1993. Nel suo articolo "Is privacy bad for women",[107] Nussbaum inserisce l'aborto tra quelle tematiche che riguardano la libertà personale e che devono essere "estricate dal pantano della 'privacy' per essere affrontate su una via più diretta (...) Le libertà umane che sono in gioco in questo dibattito sono troppo importanti per affidarle alla privacy".[108] Infatti, il diritto alla privacy che con la sentenza della Corte Suprema nel caso Roe vs. Wade (1973) è stato usato negli Stati Uniti per garantire alle donne l'accesso all'aborto è un'arma a doppio taglio perché è stato usato storicamente per tutelare il dominio dell'uomo sulla donna all'interno della famiglia. Secondo Nussbaum, nel caso dell'aborto è in gioco "l'autonomia decisionale o la libertà. Il problema è se una certa scelta determinante per la vita sia, o non sia, aperta per una donna (o, nel caso della contraccezione, anche per un uomo)".

Questa impostazione mi sembra centrale: il diritto da difendere non è "il diritto umano all'aborto", ma il diritto umano della libertà personale, oltre a quello dell'integrità fisica. I movimenti per la legalizzazione dell'aborto stanno utilizzando anche il diritto umano alla salute per difendere l'accesso delle donne all'aborto sicuro. Visto l'alto numero di morti per aborto insicuro questo è senz'altro un approccio corretto, in particolare per i paesi dove il sistema sanitario non tutela sufficientemente la salute in gravidanza e durante e dopo il parto. Però, rivolgendo lo sguardo soltanto alla salute e alla mortalità materna non si mette a fuoco la dignità della donna come persona. L'approccio delle capacità proposto da Nussbaum, in particolare il terzo punto sull'integrità fisica, chiarisce molto bene che cosa serve per essere veramente persone.

 

L'aborto, pur essendo praticato da tempi lontani in tutte le culture, quasi dappertutto costituisce un tabù.[109] Visto che l'aborto è spesso vissuto dalla donna come una scelta obbligata che in molti casi comporta notevole sofferenza oltre a fisica anche psicologica, non sembra adeguato classificare l'aborto come diritto di cui "godere".

 

La difficoltà di definire il ruolo dell'aborto nell'ambito dei diritti umani si è percepito nel lungo dibattito interno ad Amnesty International nel quale sono stata coinvolta direttamente. L'esito di questo dibattito, cioè una posizione dell'ONG con restrizioni che ricordano il protocollo africano del 2003 anche se molto più liberale,[110] e le dure reazioni alla posizione raggiunta da parte di alcune istituzioni religiose, dimostra che l'idea della piena autonomia decisionale della donna sul proprio corpo non è ancora maggioritaria nella società civile. La legge sudafricana è da considerare un esempio molto avanzato di rispetto dell'autonomia femminile, anche se i dibattiti parlamentari e gli interventi della società civile nell'ambito della recente consultazione sulla legge di emendamento dimostrano la presenza di una forte opposizione alla legge.

Dobbiamo constatare che la tutela dei diritti riproduttivi delle donne come parte integrante della loro integrità fisica e libertà di autodeterminazione non è ancora entrata nel "mainstream" dei diritti umani. Nel volume di Antonio Cassese, "I diritti umani oggi",[111] non vengono menzionati.

È senz'altro positivo che tali diritti vengano sempre di più riconosciuti come importanti ai fini delle politiche di sviluppo, come abbiamo visto nel caso delle correzioni ai Millennium Goals, espresse nel 2005.

Organizzazioni non governative come Human Rights Watch e Amnesty International, impegnate da decenni nella lotta per i diritti umani e nella promozione di tali diritti a livello della società civile potranno dare un contributo importante.

Il fatto che stati come il Sudafrica li abbiano inclusi esplicitamente nella Costituzione e nelle leggi è un altro passo avanti fondamentale sulla lunga strada verso la loro realizzazione.


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ALLEGATO - Choice of Termination of Pregnancy Act 1996, Traduzione italiana

N. 92 del 1996: LEGGE SULL'INTERRUZIONE DI GRAVIDANZA, 1996.[112]

UFFICIO DEL PRESIDENTE

N. 1891.

22 Novembre 1996

N. 92 del 1996: LEGGE SULL'INTERRUZIONE DI GRAVIDANZA, 1996.

Si notifica che il Presidente ha approvato il seguente testo di legge che viene così pubblicato a scopo di informazione generale: -

LEGGE

Al fine di determinare le circostanze nelle quali e le condizioni sotto le quali la gravidanza di una donna può essere interrotta e per regolare le questioni collegate.

(Testo in lingua afrikaans firmato dal Presidente)

(Approvato il 12 novembre 1996.)

PREAMBOLO

Riconoscendo i valori della dignità umana, il raggiungimento dell'uguaglianza, la sicurezza della persona, il non-razzismo e il non-sessismo e l'avanzamento dei diritti umani e delle libertà che stanno alla base di un Sudafrica democratico;

Riconoscendo il fatto che la Costituzione tutela il diritto delle persone di prendere decisioni riguardo alla riproduzione, di godere di sicurezza fisica e di controllare il proprio corpo;

Riconoscendo che sia le donne che gli uomini hanno il diritto di essere informati e di accedere a metodi di regolazione della fertilità di loro scelta che siano sicuri, efficaci, accessibili e accettabili, e che le donne hanno il diritto di accedere a servizi sanitari adeguati per garantire gravidanza e parto in condizioni di sicurezza;

Riconoscendo che la decisione di avere figli è fondamentale per la salute fisica, psicologica e sociale della donna e che l'accesso universale ai servizi per la salute riproduttiva include la pianificazione famigliare e la contraccezione, l'interruzione di gravidanza e anche l'educazione sessuale e programmi e servizi consultoriali;

Riconoscendo che lo Stato ha la responsabilità di provvedere per la salute riproduttiva di tutti e anche di assicurare condizioni sicure per poter esercitare il diritto di scelta senza paura e senza danno;

Nella convinzione che l'interruzione di gravidanza non è una forma di contraccezione o di controllo demografico;

La presente Legge abroga le norme restrittive e inaccessibili della Legge sull'aborto e sulla sterilizzazione del 1975 (Legge n. 2 del 1975) per promuovere i diritti riproduttivi e estendere la libertà di scelta garantendo ad ogni donna il diritto di scegliere se sottoporsi ad un'interruzione di gravidanza tempestiva, sicura e legale secondo le sue convinzioni individuali.

SIA PROMULGATO dal Parlamento della Repubblica del Sudafrica quanto segue:-

Definizioni


1. Ai fini di questa Legge, a meno che il contesto non indichi un altro significato -

(i)    "Direttore Generale" si riferisce al Direttore Generale della Sanità; (iii)

(ii)   "periodo gestazionale" si riferisce al periodo di gravidanza di una donna, calcolato dal primo giorno dell'ultimo ciclo mestruale prima della gravidanza; (iv)

(iii)  "incesto" si riferisce al rapporto sessuale tra due persone imparentate tra di loro con grado di parentela tale che il matrimonio legale tra i due è proibito; (ii)

(iv)   "medico" si riferisce ad una persona registrata come medico ai sensi della Legge sulle professioni mediche, dentali e sanitarie del 1974 (Legge n. 56 del 1974); (v)

(v)    "Ministro" si riferisce al Ministro della Sanità; (viii)

(vi)   "minore" si riferisce ad ogni persona femminile sotto i 18 anni di età; (vii)

(vii)  "prescrivere" si riferisce all'atto del prescrivere tramite regolamento ai sensi della sezione 9; (x)

(viii) "stupro" include anche lo stupro come definito dalle sezioni 14 e 15 della Legge sui reati sessuali del 1957 (Legge n. 23 del 1957)[113]; (ix)

(ix)   "ostetrica registrata" si riferisce ad una persona registrata come ostetrica ai sensi della Legge sulle professioni paramedicali del 1978 (Legge n. 50 del 1978); (vi)

(x)    "interruzione di gravidanza" si riferisce alla separazione e all'espulsione del contenuto uterino di una donna incinta tramite intervento farmacologico o chirurgico; (i)

(xi)   "donna" si riferisce a qualsiasi persona femminile di qualsiasi età. (xi)

Circostanze e condizioni nelle quali una gravidanza può essere interrotta

2. (1) Una gravidanza può essere interrotta-

(a)    su richiesta di una donna durante le prime 12 settimane del periodo gestazionale della sua gravidanza;

(b)    a partire dalla 13a settimana fino alla 20a settimana (inclusa) del periodo gestazionale, se un medico, dopo consultazione con la donna incinta, è del parere che-

(i)    continuare la gravidanza comporterebbe il rischio di provocare danni alla salute fisica o mentale della donna; oppure

(ii)   esista un rischio sostanziale che il feto sia soggetto ad una grave anomalia fisica o mentale; oppure

(iii)  la gravidanza sia il risultato di stupro o incesto; oppure

(iv)   continuare la gravidanza comprometterebbe in maniera significativa la situazione sociale o economica della donna; oppure

(c)    dopo la 20a settimana del periodo gestazionale se un medico, dopo essersi consultato con un altro medico o con un'ostetrica registrata, è del parere che continuare la gravidanza-

(i)    metterebbe in pericolo la vita della donna;


(ii) risulterebbe in una grave malformazione del feto; oppure

(ii) comporterebbe il rischio di provocare danni al feto.

(2)    L'interruzione di una gravidanza può essere effettuata soltanto da un medico, tranne per le gravidanze ai sensi del paragrafo (1) (a), dove può essere effettuata anche da un'ostetrica registrata che ha completato il corso di formazione obbligatorio.

Luogo nel quale può essere svolta una interruzione chirurgica di gravidanza

3. (1) L'interruzione chirurgica di una gravidanza può avvenire soltanto in una struttura designata dal Ministro; tale designazione deve essere pubblicata nella Gazzetta ufficiale ai sensi del paragrafo (2) sottostante.

(2)    Il Ministro, ai fini descritti nel paragrafo (1), può designare qualsiasi struttura che risponda alle condizioni e ai requisiti che lui o lei consideri necessari o utili al raggiungimento dei fini della presente Legge,

(3)    Il Ministro può ritirare ogni designazione ai sensi di questa sezione dopo un preavviso da pubblicare sulla Gazetta ufficiale 14 giorni prima.

Attività consultoriale

4.     Lo Stato promuove la messa a disposizione di servizi consultoriali, non obbligatori e non finalizzati, prima e dopo l'interruzione di una gravidanza.

Consenso

5.(1)  Secondo quanto stabilito dai seguenti paragrafi (4) e (5), l'interruzione di gravidanza può soltanto essere effettuata con il consenso informato della donna incinta.

(2)    A prescindere da ogni altra legge o dal diritto comune, ma ai sensi di quanto previsto ai paragrafi (4) e (5), per l'interruzione della gravidanza non sarà necessario nessun altro consenso oltre a quello della donna incinta.

(3)    Nel caso di una minorenne incinta, il medico o l'ostetrica registrata, a seconda del caso, consiglierà alla minorenne di consultarsi con i propri genitori, con il suo tutore, con membri della famiglia o con amici prima dell'interruzione della gravidanza: In ogni caso, l'interruzione della gravidanza non sarà negata perché la minorenne sceglie di non consultare queste persone.

(4)    Ai sensi di quanto stabilito dal paragrafo (5), nel caso in cui una donna sia-

(a)    portatrice di un grave handicap mentale al punto da essere totalmente incapace di intendere e di percepire la natura o le conseguenze di una interruzione della sua gravidanza; oppure

(b)    in uno stato di continua incoscienza e se non c'é nessuna prospettiva ragionevole che riprenda coscienza in tempo per richiedere e consentire all'interruzione della sua gravidanza ai sensi del paragrafo 2, la sua gravidanza può essere interrotta durante le prima 12 settimane del periodo gestazionale, o a partire dalla 13a settimana fino alla 20a settimana (inclusa) in base alle motivazioni definite nella sezione 2(1)(b)-

(i)    a richiesta e con il consenso del suo tutore naturale, marito o tutore legale, a seconda del caso; oppure

(ii)   se non può essere trovata una tale persona, a richiesta e con il consenso del suo "curator personae":


In ogni caso una tale gravidanza non può essere interrotta senza il consenso di due medici oppure di un medico e un'ostetrica registrata che abbia completato il corso di formazione obbligatorio.

(5)    Se due medici oppure un medico e un'ostetrica registrata che abbia completato il corso di formazione obbligatorio sono del parere che -

(a)    durante il periodo fino alla 20a settimana (inclusa) del periodo gestazionale di una donna incinta ai sensi del paragrafo (4)(a) o (b)-

(i)    continuare la gravidanza comporterebbe il rischio di provocare danni alla salute fisica o mentale della donna; oppure

(ii)   esiste un rischio sostanziale che il feto sia soggetto ad una grave anomalia fisica o mentale; oppure(a) dopo la 20a settimana del periodo gestazionale di una donna incinta ai sensi del paragrafo (4)(a) o (b), continuaare la gravidanza-

(i)    metterebbe in pericolo la vita della donna;

(ii)   risulterebbe in una grave malformazione del feto; oppure

(iii)  comporterebbe il rischio di provocare danni al feto, possono consentire all'interruzione della gravidanza della donna dopo aver consultato il suo tutore naturale, marito o tutore legale o curator personae, a seconda del caso. In ogni caso, l'interruzione di gravidanza non sarà negata se il tutore naturale, marito, tutore legale o curator personae, a seconda del caso, rifiuta il suo consenso.

Informazioni riguardo all'interruzione di gravidanza

6.     Una donna che, ai sensi della sezione 2(1) richiede un'interruzione di gravidanza ad un medico o un'ostetrica registrata, a seconda del caso, deve essere informata dei propri diritti ai sensi di questa Legge dalla persona interessata.

Notifica e gestione dei registri

7. (1) Ogni medico, oppure un'ostetrica registrata che abbia completato il corso di formazione obbligatorio, che esegue un'interruzione di gravidanza ai sensi della sezione 2(1)(a) o (b) registrerà le informazioni previste nel modo previsto e ne informerà la persona di cui al paragrafo (2) seguente.

(2)    La persona responsabile di una struttura ai sensi della sezione 3 o una persona designata a tale scopo dovrà essere informata, come previsto, di ogni interruzione di gravidanza eseguita in tale struttura.

(3)    La persona responsabile di una struttura ai sensi della sezione 3 dovrà verificare le informazioni previste e inoltrarle, entro un mese dall'interruzione di gravidanza eseguita nella struttura, in maniera riservata al Direttore Generale:  In ogni caso, nome e indirizzo di una donna che ha richiesto o ottenuto un'interruzione di gravidanza non potranno essere inclusi tra le informazioni previste.

(4)    Il Direttore Generale terrà un registro con le informazioni previste che riceve ai sensi del paragrafo (3).


(5)    L'identità di una donna che ha richiesto o ottenuto un'interruzione di gravidanza dovrà rimanere sempre riservata, a meno che lei stessa decida di dare questa informazione.

Poteri di delega

8. (1) Il Ministro può, alle condizioni decise da lui stesso o lei stessa, delegare per iscritto al Direttore Generale o ad ogni altro funzionario al servizio dello Stato ogni potere conferitogli da questa Legge o in applicazione di questa Legge, tranne il potere previsto alla sezione 9.

(2)    Il Direttore Generale può, alle condizioni decise da lui stesso o lei stessa, delegare per iscritto ad un funzionario al servizio dello Stato ogni potere conferito al Direttore Generale da questa Legge o in applicazione di questa Legge oppure delegato a lui o lei ai sensi del paragrafo (1) precedente.

(3)    Il Ministro o Direttore Generale non sarà privato da nessun potere da lui o lei delegato e potrà emendare o sospendere qualsiasi decisione presa da una persona nell'esercizio di tale potere delegatole. 

Regolamenti

9.     Il Ministro può rilasciare regolamenti riguardo a qualsiasi questione che riterrà necessaria o utile ai fini del raggiungimento degli scopi della presente Legge. 

Reati e sanzioni

10. (1)      Qualsiasi persona che-

(a)    non sia un medico o un'ostetrica registrata che abbia completato il corso di formazione obbligatorio e che esegua un'interruzione di gravidanza di cui alla sezione 2(1)(a);

(b)    non sia un medico e che esegua un'interruzione di gravidanza di cui alla sezione 2(1)(b) o (c); oppure

(c)    impedisca l'interruzione legale di una gravidanza o ostruisca l'accesso ad una struttura per l'interruzione di una gravidanza si renderà colpevole di un reato e sarà condannato al pagamento di una sanzione pecuniaria o al carcere per un periodo non superiore a 10 anni.

(2)    Ogni persona che violi qualsiasi disposizione di cui alla sezione 7 si renderà colpevole di un reato e sarà condannato al pagamento di una sanzione pecuniaria o al carcere per un periodo non superiore a sei mesi.

Applicazione della Legge

11. (1)      Questa Legge è applicabile all'intero territorio nazionale della Repubblica.

(2)    Questa Legge abroga-

(a)    la Legge citata nelle colonne uno e due dell'Allegato nell'ambito descritto nella terza colonna dell'Allegato; e

(b)    qualsiasi legge riguardo all'interruzione di gravidanza applicabile al territorio di qualsiasi entità che precedentemente all'entrata in vigore della Costituzione della Repubblica del Sudafrica, nel 1993 (Legge n. 200 del 1993), possedeva autorità legislativa riguardo all'interruzione di gravidanza. 


Titolo breve e entrata in vigore

12.    Questa Legge sarà intitolata Legge sull'Interruzione di Gravidanza del 1996 ("Choice on Termination of Pregnancy Act, 1996") e entrerà in vigore, tramite pubblicazione sulla Gazetta ufficiale, con una data che sarà fissata dal Presidente.

ALLEGATO

N. e anno della legge

Titolo breve

Ambito di abrogazione

Legge n. 2 del 1975

Legge sull'aborto e sulla sterilizzazione, 1975

Per gli aspetti riguardanti l'aborto

 



[1] Il quotidiano «Avvenire» ha reagito alla decisione di AI con una serie di articoli critici. Vedi «Avvenire» del 22, 23, 25, 28 e 29 agosto 2007.

[2] Si veda il rapporto di Human Rights Watch sull'Argentina: Decisions Denied: Women’s Access to Contraceptives and Abortion in Argentina, vol. 17, n. 1(B), giugno 2005.

[3] Molte organizzazioni femminili per i diritti umani si battono da tempo per l'accesso all'aborto in sicurezza.

[4] Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, firmato il 16 dicembre 1966 a New York e entrato in vigore sul piano internazionale il 23 marzo 1976; Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali, firmato il 16 dicembre 1966 e entrato in vigore il 3 gennaio 1976. Traduzione italiana: Verilli, A., Codice del Diritto e delle Organizzazioni Internazionali V, Gruppo Editoriale Esselibri - Simone, Napoli, 2002.

[5] Commission on the Status of Women,

[6] Charlesworth, Hilary, What are "Women's International Human Rights"?, in: Cook, Rebecca J. ed., Human Rights of Women: National and International Perspectives, pp. 58-84, University of Pennsylvania Press, Philadelphia, 1994.

[7] Charlesworth, op.cit., p. 71.

[8] Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, adottata a New York il 18 dicembre 1979 e entrata in vigore il 3 settembre 1981. Verilli, op.cit.

[9] Tripp, A.M., Regional Networking as Transnational Feminisms: African Experiences, «Feminist Africa» 4, 2005,

[10] Al 1 aprile 2006, 57 Stati mantengono delle riserve alla CEDAW, riserve che sono in parte considerate inammissibili dal Comitato CEDAW in quanto contrari allo spirito della convenzione stessa, come per esempio le riserve all'articolo 16 (31 Stati) che riguarda il diritto di famiglia e i diritti riproduttivi, vedi doc. CEDAW/SP/2006/2 (Declarations, reservations, objections and notifications of withdrawal of reservations relating to the Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination against Women) scaricabile da

[11] Protocollo facoltativo CEDAW, adottato dallAssemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1999, entrato in vigore il 22 dicembre 2000.

[12] Hernández-Truyol, Berta Esperanza, Human Rights through a gendered lense: Emergence, evolution, revolution, pp. 3-39, in: Askin, Kelly D. e Koenig, Dorean M., Women and international human rights law, Transnational Publishers, 1999.

[13] ibidem, p. 31.

[14] "I diritti umani delle donne e delle bambine sono parte inalienabile, integrale e indivisibile dei diritti umani universali. (...) I diritti umani delle donne dovrebbero costituire parte integrante delle attività delle Nazioni Unite nel campo dei diritti umani, inclusa la promozione di tutti gli strumenti sui diritti umani riguardanti le donne." Dichiarazione di Vienna, Conferenza Mondiale sui Diritti Umani, giugno 1993.

[15] Il lavoro della coalizione, guidata dal Global Campaign for Women's Human Rights, è descritto da Charlotte Bunch nel suo articolo Making the global local: international networking for women's human rights, in: Askin, 1999, op.cit.

      Vedi anche: Scoppa, Cristiana, I diritti delle donne sono diritti umani, in: Bartolini, Stefania ed., A volto scoperto: donne e diritti umani, pp. 69-84, Società italiana delle storiche, manifestolibri, Roma, 2002.

[16] Conferenza internazionale su popolazione e sviluppo, Cairo 1994, Programma di azione 7.3 e 7.2, , neretto dell'autrice.

[17] Vedi per esempio la voce "Fertility Regulation" in: Definitions and indicators in Family Planning, Maternal & Child Health, Reproductive Health used in the WHO Regional Office for Europe,

[18] Eriksson, Maja K., Abortion and reproductive health: making international law more responsive to women's needs, in: Askin, 1999, op. cit., p. 10.

[19]  Conferenza internazionale su popolazione e sviluppo, Cairo 1994, Programma di azione 8.25.

[20] Ibidem.

[21] WHO, Strategy to Accelerate Progress towards the Attainment of International Development Goals and Targets Related to Reproductive Health, World Health Assembly, maggio 2004, in: «Reproductive Health Matters», 2005, 13(25), pp. 11-18 (neretto dell'autrice).

[22] Per una trattazione più esaustiva vedi:

Rossi-Doria, A., Diritti delle donne e diritti umani, pp. 63-88, in: Salvati, M., Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, 10 dicembre 1948: Nascita, declino e nuovi sviluppi, Ediesse, Roma, 2006

Vezzosi, E., Una storia difficile, pp. 41-68, in: Bartolini, op.cit.

[23] Piattaforma di Pechino, par. 96, citato da: Chavkin, W. e Chesler, E., ed., Where Human Rights begin: Health, sexuality, an women in the new millenium, Rutgers University Press, New Brunswick, NJ, 2006, p. 24.

[24] Chesler, E., Introduction, in: ibidem, p. 24.

[25] ibidem, p. 24.

[26] ibidem, p. 23.

[27] Amnesty International, Beijing + 10: Wasted opportunità to progress women's human rights, AI Index ACT 77/014/2005, 7 marzo 2005.

[28] Otto, D., A post-Beijing reflection on the limitations and potential of human rights discourse for women, in: Askin, 1999, op.cit.,p. 132.

[29] Amnesty International, AI Index ACT 77/008/2000 (Comunicato stampa).

[30] Rossi-Doria, in: Salvati, op.cit., p. 83.

[31] Secondo la "global gag rule", gli USA tolgono tutti i finanziamenti alle ONG che nel loro lavoro danno informazioni sull'aborto.

[32] WHO, 2005, op.cit., p. 14

[33] UN Millennium Project. Investing in development: a practical plan to achieve the Millennium Development Goals. New York: United Nations Development Programme, 2005. Citato in Glasier, A. et al., Sexual and reproductive health: a matter of life and death, «The Lancet» 2006, 368, pp.1595-1607.

[34] Council of the European Union. Council conclusions: accelerating progress towards achieving the Millennium Development Goals, 24 maggio 24 2005, Bruxelles, , citato in Glasier, A., op. cit.

[35] Grimes, D.A. et al., Unsafe abortion: the preventable pandemic, «The Lancet», Sexual and Reproductive Health Series, Ottobre 2006.

[36] Grimes, op. cit.

[37] Grimes, op. cit.

[38] L'iter che porta alla redazione del progetto è descritto da Mutoy Mubiala nel documento Le projet de Protocole à la Charte Africaine des Droits de l'Homme et des Peuples relatif aux Droits de la Femme en Afrique, Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, Ginevra, 2000.

[39] Equality Now, African Union adopts protocol on the rights of African women: right to abortion articulated for the first tim in international law (Comunicato stampa del 14.7.2003),

[40] Protocollo alla Carta Africana sui diritti dell’uomo e dei popoli sui diritti delle donne in Africa. Testo italiano: Database strumenti internazionali, Università degli Studi di Padova, Centro interdipartimentale di ricerca e servizi sui diritti della persona e dei popoli, Archivio Regionale "Pace Diritti Umani",

[41] Non solo il comitato CEDAW ma anche il Comitato per i diritti umani, il Comitato su diritti economici, sociali e culturali e il Comitato contro la tortura avevano criticato diversi stati (ad es. Argentina, Lesotho, Nepal, Cile, Croatia, Peru, Polonia) per la loro politica restrittiva sull'aborto che metteva a rischio i diritti umani delle donne.

[42]

[43] Declaration de l’ACEAC sur la Ratification du Protocole de Maputo,

[44] Rossi-Doria, in Salvati, op.cit, p. 88.

[45] cit. in Mutoy Mubiala, p. 2.

[46] Guttmacher, S. et al., Abortion Reform in South Africa: A Case Study of the 1996 Choice on Termination of Pregnancy Act, «International Family Planning Perspectives, Vol. 24, Nr. 4, Dicembre 1998; se non diversamente indicati, i dati citati in questo paragrafo provengono dall'articolo di Guttmacher.

[47] Haroz, A.E., South Africa's 1996 Choice on Termination of Pregnancy Act: expanding choice and international human rights to black South African women, «Vanderbilt Journal of Transnational Law», 1997.

[48] Haroz cita cifre diverse: più di 250.000 aborti clandestini all'anno, corrispondenti ad uno ogni 23 donne sudafricane in età fertile, 45.000 dei quali comportavano la necessità di ricovero per complicazioni, tra 1500 e 3000 decessi a causa di aborti clandestini, il 99% dei ricoveri riguardava donne nere.

[49] Cooper, Diane et al., Ten years of democracy in South Africa: documenting transformation in reproductive health policy and status, «Reproductive Health Matters», 12 (24), 2004, pp. 70-85,

[50] Guttmacher, op. cit.

[51]Klugman, B. e Varkey, S. J. in: Klugman, B. e Budlender, D., ed, Advocating for Abortion Access: Eleven Country studies, School of Public Health, Womens's Health Project, University of Witwatersrand, Johannesburg, Sudafrica, 2001

[52] Pellizzoli, R., La partecipazione politica delle donne sudafricane tra politiche di genere e discorso femminista, «Genesis», IV/2, 2005.

[53] Ritchken E (1998), Comrades, Witches and the State, Honours Dissertation, Department of Political Studies, University of the Witwatersrand, Johannesburg. Citato in Klugman, op. cit., 2001.

[54]Pellizzoli, ibidem.

[55]Geisler, G., Women and the Remaking of Politics in Southern Africa: Negotiating Autonomy, Incorporation and Representation, Nordiska Afrikainstitutet, Uppsala, Svezia, 2004, p. 81

[56] Citata in Geisler, op. cit., p. 80

[57]Anche se la Charter - che fu il risultato di molti compromessi e non incluse temi controversi come l'aborto e il lesbismo - non fu inclusa direttamente nella Costituzione, le idee di uguaglianza di genere e la possibilità di azioni positive furono inserite nel testo che divenne uno dei testi costituzionali più sensibili al genere. (Geisler, p. 84).

[58]Costituzione della Repubblica del Sudafrica, 1996, Capitolo 2 "Bill of Rights", Art. 12.2:

"Everyone has the right to bodily and psychological integrity, which includes the right

             a. to make decisions concerning reproduction;

             b. to security in and control over their body; and

             c. not to be subjected to medical or scientific experiments without their informed consent."

[59]Klugman, B. et al., Developing Women's Health Policy in South Africa from the Grassroots, «Reproductive Health Matters», 6, Novembre 1995.

[60]Klugman, 2001, op.cit.

[61] Con la "Recognition of Customary Marriages Act" del 1998 sono state stabilite alcune condizioni per il riconoscimento dei matrimoni tradizionali ed è stato in particolare ribadito il divieto di discriminazione sancito dalla Costituzione.

[62] Klugman, 2001, op.cit., p. 264.

[63] Ibidem, p. 263.

[64] Klugman, 2001, op.cit., p. 15.

[65]Gevisser, Mark, The A.N.C.'s great divide: abortion is the first issue to portend inevitable splits in the A.N.C's  coalition, «The Nation», New York, 17.02.1997

[66] La legge italiana, ad esempio, nei primi novanta giorni di gravidanza prevede l'accesso all'aborto soltanto per "la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito" (L. 22 maggio 1978, n. 194, Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza.)

      Nel Regno Unito, la legge del 1967 prevede l'accesso all'aborto soltanto con il consenso di due medici (fino a 24 settimane).

      Negli Stati Uniti, dopo che nel 1973 l'aborto era stato liberalizzato con la sentenza Roe vs. Wade, la Corte Suprema ha emesso una sentenza restrittiva il 18 aprile 2007 nel caso Gonzales v. Carhart, vietando una procedura di aborto tipicamente usata dopo la 20° settimana. Sulla sentenza Roe vs. Wade vedi anche p. 31 del presente lavoro.

[67] Si veda il testo di legge nella traduzione allegata, Sezione (5).

[68] Choice on Termination of Pregnancy Act, 1996.

[69] South Africa Department of Health, Choice on Termination of Pregnancy Press Release, 28 gennaio 1997. Citato in: Haroz, 1997, op.cit.

[70] Pillay, Y.G. e Bond, P., Health and Social Policies in the New South Africa, «International Journal of Health Services», Volume 25, n. 4, 1995, p. 733.

[71] ibidem, p. 740.

[72] O'Laughlin, B., La libertà di scegliere: l’HIV/AIDS e i limiti della teoria liberale della cittadinanza in Africa australe, «Afriche ed Orienti», II Speciale 2006: Occidente e Africa. Democrazia e nazionalismo dalla prima alla seconda transizione, a cura di M. Zamponi.

[73] Hall, W. e Roberts, J., Understanding the impact of decentralisation on reproductive health services in Africa: South Africa Report, novembre 2006, Health Systems Trust, Durban, p. 162,

[74] ibidem, p. 163.

[75] Varkey, S.J., Abortion Services in South Africa: Available Yet Not Accessible to All, «International Family Planning Perspectives», Volume 26, n. 2, giugno 2000. Citato in: Hall, 2006, op.cit.

[76] Statistics South Africa, Mid-year population estimates 2007,

[77] Hall, 2006, op. cit., p. 164.

[78] Hall, 2006, op. cit., p. 163.

[79] Varkey, op.cit., p. 87.

[80] ibidem

[81] An Evaluation of the Implementation of the Choice on Termination of Pregnancy Act, South Africa 2000, Department of Health, Republic of South Africa.

[82] ibidem, p. 77.

[83] Hall, op.cit., p. 167.

[84] ibidem, p. 168.

[85] Liz Walker, "My work is to help the woman who wants to have a child, not the woman who wants to have an abortion" : discourses of patriarchy and power among African nurses in South Africa, «African Studies», 1996, vol. 55, n. 2, p. 43-67.

[86] Ibidem, p. 53.

[87] Morroni, C. et al., Knowledge of the abortion legislation among South African women: a cross-sectional study, «Reproductive Health» 2006,

[88] Mitchell E.M.H. et al., Accelerating the Pace of Progressi in South Africa: An Evaluation of the Impact of Values Clarification Workshops on Termination of Pregnancy Access in Limpopo Province, Johannesburg, 2004.

[89] Benché la legge non contenga nessuna clausola sull'obiezione di coscienza, questa sarebbe legittima, secondo Charles Ngwena, sulla base dell'articolo 15 della Costituzione sulla libertà di coscienza. Infatti, l'obiezione di coscienza è praticata da molti operatori. In casi di emergenza, comunque, questo diritto dovrebbe essere limitato ai sensi dell'art. 36 sulla limitazione dei diritti costituzionali. Inoltre, vista la scarsa diffusione di informazione sui servizi e le difficoltà di accesso, l'obbligo di dare informazioni (previsto dalla legge) sui servizi disponibili, anche in caso di contrarietà dell'operatore all'aborto, dovrebbe reggere all'esame di costituzionalità in quanto il rifiuto di riferire una paziente ad una struttura dove si effettuano aborti violerebbe il diritto della paziente di prendere decisioni sulla propria riproduzione, previsto dall'art. 7(2) della Costituzione. Vedi Ngwena, C., Conscientious objection and legal abortion in South Africa: delineating the parameters, «Journal for Juridical Science», 28(1), 2003, pp. 1-18.

[90] Choice on Termination of Pregnancy Amendment Bill [B 21-2007], bills/2003/b72-03.pdf

[91] Il giorno 4 febbraio 2008, il comitato parlamentare competente (Social Services Select Committee) , dopo aver ricevuto l'approvazione di 7 delle 9 province (2 province non avevano inviato un risultato di consultazione valido nei termini previsti), ha approvato la legge di emendamento. Vedi il verbale della seduta: 

[92]

[93] High Court, Transvaal Provincial Division.

[94] The American Society of International Law, International Law in Brief, 24-28 agosto 1998,

[95] Si veda la nota 24.

[96] Pettifor A.E. e al., Sexual power and HIV risk, South Africa, «Emerging Infectious Diseases», pubblicazione online del National Center for Infectious Diseases, Ministero della Sanità USA, novembre 2004, disponibile in internet su

[97] Human Rights Watch, South Africa: The State Response to Domestic Violence and Rape, novembre 1995,

[98] Shanaaz, M. et al., "Every six hours a woman is killed by her intimate partner": A National Study of Female Homicide in South Africa, MRC Policy Brief, n. 5, giugno 2004,

[99] Dunkle, K.L. et al., Gender-based violence, relationship power, and risk of HIV infection in women attending antenatal clinics in South Africa, «The Lancet», Vol. 363, maggio 2004,

      Mitchell E.M.H. et al., Accelerating the Pace of Progressi in South Africa: An Evaluation of the Impact of Values Clarification Workshops on Termination of Pregnancy Access in Limpopo Province, Johannesburg, Sudafrica, 2004.

      De Keijzer, B., Sexual-Reproductive Health and Rights: What about Men?, in: Chavkin, op.cit.

[100] De Keijzer, op. cit., p. 181.

[101] Sylva, D. e Yoshihara, S., Rights by Stealth: The Role of UN Human Rights Treaty Bodies in the Campaign for an International Right to Abortion, The International Human Rights Research Group, Catholic Family & Human Rights Institute, New York, 2007, p.10.

[102] Hessini, L., Global Progress in Abortion Advocacy and Policy: An Assessment of the Decade sind ICPD, «Reproductive Health Matters», Vol. 13, n. 25, maggio 2005, pp. 88-100.

[103] Sylva, op.cit..

[104] Braam, T. e Hessini, L., The Power Dynamics Perpetuating Unsafe Abortion in Africa: A Feminist Perspective, «African Journal of Reproductive Health», Vol. 8, n. 1, 2004, pp. 43-51.

[105] Benchè Nussbaum non nomini mai esplicitamente l'aborto, nelle note al secondo punto, sul concetto di "sana riproduzione" cita la definizione di salute riproduttiva del Cairo e la seguente sintesi delle raccomandazioni:

      1) Ogni atto sessuale dovrebbe essere libero da coercizione e infezione. 2) Ogni gravidanza dovrebbe essere voluta. 3) Ogni nascita dovrebbe essere sana.

      Nussbaum, Diventare persone: Donne e universalità dei diritti, Il Mulino, Bologna, 2001, p.95.

[106] ibidem, p. 29.

[107] Nussbaum, M., Is privacy bad for women, «Boston Review» 42, maggio/giugno 2000.

[108] ibidem.

[109] Boltanski, L., La condizione fetale: una sociologia della generazione e dell'aborto, Feltrinelli, Milano, 2007

[110] Rispetto al Protocollo africano che chiede l'autorizzazione dell'aborto in certi casi (e quindi restringe la depenalizzazione a tali casi), la posizione di AI è molto più ampia: la depenalizzazione viene richiesta in tutti i casi, mentre le limitazioni valgono per la richiesta che lo Stato garantisca l'accesso all'aborto. Il protocollo di Maputo tace sulla questione dell'accesso che chiamerebbe in causa la tutela dei diritti economici e sociali, in particolare la messa a disposizione di strutture sanitarie adeguate da parte dello Stato.

[111] Cassese, A., I diritti umani oggi, Editori Laterza, Bari, 2005.

[112] Traduzione dell'autrice. Testo in inglese:

[113] La legge del 1957 prevedeva il reato di stupro per rapporti sessuali (anche se consensuali) compiuti con minori al di sotto dei 16 anni.

References & Links

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